MILANO – Se ne è andato a 90 anni e 7 mesi, tre anni dopo l’amata Franca Rame. Dario Fo era ricoverato da dieci giorni all’ospedale Sacco di Milano per alcune complicazioni polmonari. «10 giorni fa in stato di insufficienza respiratoria legato a una patologia presente da anni. Una malattia silente e progressiva», ha detto Delfino Luigi Legnani, il direttore del reparto di pneumologia. E ha aggiunto una nota di colore: «I suoi collaboratori mi hanno detto che qualche giorno prima» dell’aggravarsi delle sue condizioni «aveva cantato per ore. Una cosa incomprensibile» vista la situazione.
Un’uscita di scena in punta di piedi, per uno che come lui da più di mezzo secolo calcava i palchi di mezzo mondo e occupava uno spazio importante nel dibattito culturale e non solo. Con quel tono di leggerezza che era stato un suo tratto distintivo anche nei momenti difficili. Come negli Anni Sessanta quando la Rai allora assai bacchettona lo allontanò da un programma televisivo per uno sketch irriverente sui morti sul lavoro. O come poche settimane fa a questo giornale, nella sua ultima intervista, quando la messa al bando in Turchia di tutte le sue opere gli fece esplodere la sua fragorosa risata: «È come se mi avessero dato un altro premio Nobel». Erdogan non solo lo aveva epurato ma con lui aveva tolto di scena Shakespeare, Cechov e Brecht. «Essere insieme a loro è solo un onore. Speriamo che nessuno dica ad Erdogan che sono l’unico ancora in vita».
Il premio Nobel, quello vero, glielo avevano dato nel 1997 ma la prima candidatura era del 1975. Quando gli era arrivato il riconoscimento più importante per la letteratura qualcuno in Italia si era scandalizzato. Non era solo invidia era la paura che un riconoscimento al genio irriverente scardinasse logiche antiche e oramai un po’ ammuffite. Ma da Dario Fo non era arrivato nemmeno uno sghignazzo. Lui che da sempre aveva calpestato il lato scomodo della strada con le sue opere.
Drammaturgo, regista, scrittore, pittore, agitatore culturale e pure candidato alla Presidenza della Repubblica in 90 anni Dario Fo non si è fatto mancare niente. Né il successo né le polemiche. Perché ogni sua opera era una polemica. Da «Mistero buffo» a «Morte accidentale di un anarchico», scritta di getto dopo la strage di piazza Fontana per non dimenticare Pino Pinelli, l’anarchico – lui sì, innocente – caduto dalla finestra al quarto piano dell’ufficio del commissario Calabresi alla Questura di Milano. Anni dopo quasi a voler infangare la sua storia gli ricordarono quando indossò la divisa della Repubblica di Salò: «L’ho fatto solo per non essere deportato in Germania».
Ogni polemica, ogni successo, lo vedeva sempre accanto alla bellissima Franca Rame, attrice e tanto altro. Entrata pure in Senato con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Una delle tante tappe di questa coppia di sinistra che incarnava ogni mal di pancia della sinistra libertaria. Di cui si ricordano le battaglie a sostegno di Adriano Sofri nel processo per l’omicidio del commissario Calabresi. E l’avvicinamento ultimo al Movimento 5 Stelle. Sempre accanto a Franca Rame, uniti nella vita e pure adesso.