ROMA – “Per quel che mi riguarda ho detto che a portarmi fuori da casa mia, dal mio partito, ci può riuscire solo la Pinotti se schiera l’Esercito”. Il giorno dopo la direzione, la minoranza Pd allontana dall’orizzonte ipotesi di fratture ulteriori ma marca la propria identità. Sono di Pier Luigi Bersani le ironiche parole sulle maniere forti ed è ancora l’ex segretario Pd a rivendicare che «non esiste, non può esistere e non è mai esistita una disciplina di partito sui temi costituzionali».
«Capisco da ieri che si vuol tirare dritto, perché una commissione non si nega a nessuno. Ma se si tira dritto, non si tirerà dritto con il mio sì, si tirerà dritto con il mio no», aggiunge. «L’incrocio fra le due riforme crea un cambio profondo della forma di governo in Italia, un cambio negativo e, visto quel che succede nel mondo, anche pericoloso», è la tesi dell’ex segretario Pd.
Toni non dissimili quelli di Roberto Speranza. «Il Pd è il mio partito. Oggi leggo di scissioni. Per me le scissioni non esistono. Se leggo i giornali italiani sembra che domani mattina noi presentiamo un nuovo simbolo e stiamo per fare una scissione. Questo non è vero. Si può stare dentro il Pd e pensarla diversamente», spiega. «Io posso votare no al referendum ma se il giorno dopo c’è la fiducia al governo io la rivoto. Insisto, sono due ambiti diversi», sintetizza. A tutti risponde Luigi Zanda.
Un’eventuale scissione nel Pd dopo il referendum «la considero una follia politica assoluta, sarebbe un danno per l’Italia e per l’Europa», ammonisce il capogruppo Dem al Senato, che invita a considerare che c’è stata «un’apertura da parte di Renzi molto consistente: ha colto il punto, che non è la riforma bensì la legge elettorale e, sulla possibilità di modificarla, ha fatto un’apertura piena».
Non cambia la linea M5S. «Questa riforma della Costituzione taglia semplicemente la democrazia. Il Senato continuerà ad esserci, con i senatori che saranno politici scelti da politici, senza che i cittadini italiani possano esprimere il proprio voto. Esattamente come sta succedendo in questi giorni con le Città metropolitane», dice il deputato M5S Alfonso Bonafede. E se FI, con Renato Brunetta, scrive all’Osce per chiedere «nell’ambito dell’attività di media monitoring, l’avvio di una specifica missione di osservazione» in vista del referendum del 4 dicembre, Massimo D’Alema domani presenterà un ddl bipartisan, messo a punto nell’ambito del `fronte del No´.
Intanto il presidente emerito della Corte Costituzionale, Valerio Onida, ha presentato, insieme alla professoressa Barbara Randazzo, due ricorsi, uno al Tar del Lazio e uno al tribunale civile di Milano, con cui in sostanza impugna il quesito referendario. La motivazione centrale dell’azione, secondo quanto si apprende, riguarda il fatto che in un unico quesito vengono sottoposti all’elettore una pluralità di oggetti eterogenei. Nei ricorsi si chiede il rinvio della questione alla Corte Costituzionale. I ricorsi sono stati depositati questa mattina. I ricorrenti agiscono in qualità di cittadini-elettori. L’azione arriva dopo quella promossa al Tar da M5s e Sinistra Italiana, ma a differenza di quella, che ha una portata soprattutto politica, questa porta la firma di uno dei più noti giuristi italiani.