ROMA – Di Maio, Di Battista, Grillo. Nei protagonisti c’è il racconto di quello che è diventato il M5S dopo una settimana di strazi interni: un candidato premier ne esce dimezzato, una sindaca ne esce più autonoma.
Il direttorio al gran completo fa da corona al suo leader dal palco di Nettuno dove ognuno di loro è andato a lavare i propri peccati. Sono le otto di sera. La Raggi non c’è, resta asserragliata in Campidoglio, in silenzio, finché appare in un video su Facebook. È il metodo 5 Stelle. Saltare le domande, parlare «direttamente al popolo», «senza intermediari» come dice Di Maio in tarda mattinata quando attraverso un altro post dà appuntamento a tutti a Nettuno.
Raggi annuncia la sua strenua resistenza su Paola Muraro, l’assessora indagata che i vertici pentastellati vogliono fuori dalla giunta. «Vogliamo vedere le carte» ribadisce lei. L’accontentano. Il suo post viene rilanciato sul blog di Grillo. Con un P.s.: «L’attuale vice capo di gabinetto Raffaele Marra sarà ricollocato in altra posizione». Mentre è ancora da capire cosa ne sarà di Salvatore Romeo, il capo di segreteria della sindaca. Fine. Per ora. La linea Raggi prevale. Restano al proprio posto Muraro e Raffaele De Dominicis, l’assessore al Bilancio suggerito dallo studio Sammarco. È il risultato di una lunga e faticosa mediazione tra il direttorio nazionale, Grillo e Raggi, sentita solo via telefono. È l’unico modo per ammorbidire lo scontro fratricida.
È il compromesso imposto da Grillo, costretto a scendere e a coprire le sue creature, per salvarle. Una strategia che viene esposta dal comico durante la riunione segretissima tenuta con il direttorio in una casa alle porte di Roma e che in parte raffredda il diktat notturno che il leader aveva lanciato su Roma, quando attraverso lo staff aveva detto che «nulla sarà più tollerato», e minacciato la sfiducia se Raggi avesse continuato la sua opposizione. Alla fine Grillo le telefona: «Che sta succedendo». La sindaca gli sintetizza la sua versione e conclude: «Questa è la mia linea Beppe, voglio che la rispettiate». Grillo chiude dicendole che lo avrebbero fatto ma invitandola anche a «mettersi al lavoro».
Il vicepresidente della Camera ha mentito più volte. Ha detto di non sapere che Muraro era indagata. Ha detto di non sapere che l’assessora aveva chiesto un “335”, la procedura prevista per sapere se si è iscritti sul registro degli indagati. Invece gli sms del 4 agosto con Paola Taverna e Fabio Massimo Castaldo, membri del minidirettorio romano informato da Raggi, dimostrano il contrario. Come la mail 5 agosto, inviata a Di Maio dalla Taverna. Sms e mail finiscono sui giornali, e la senatrice finisce sotto accusa.
«Infame» la definiscono nel giro più stretto di deputati e assistenti di Di Maio. Lei si difende: «Non sono stata io, anche altri avevano gli screenshot». Il caso Taverna agiterà le prossime ore. Intanto però, Di Maio ne esce ridimensionato con somma gioia dei suoi avversari interni. «Archiviato un Di Maio se ne fa un altro» è stata una delle dure affermazioni di Carla Ruocco. Tra chi gongolava vedendo crescere la stella di Di Battista ci sono i sostenitori di una tesi che comincia a farsi strada.
Ovvero andare alle elezioni senza premier, ma come collettivo, come M5S; «perché – sostiene Roberta Lombardi – il M5S non è una singola persona, ma un progetto politico corale». La stessa convinzione su cui insiste Roberto Fico dal palco: «Tutti dobbiamo condividere di più». È quello che Di Battista va dicendo nei capannelli di Montecitorio da tempo: «Chi l’ha detto che dobbiamo avere un candidato premier? Si decide dopo le elezioni». Messaggio chiaro, indirizzato a Di Maio che è costretto al mea culpa in mondo visione. «Devi ammettere gli errori, chiedere scusa» gli dicono Grillo e il direttorio. Su Raggi invece prenderanno tempo: «Ora restiamo uniti, non diamoci più in pasto al Pd, ogni spaccatura è un massacro».