ROMA – Aveva promesso di dare nuovo lustro all’immagine di Finmeccanica dopo le inchieste che avevano coinvolto l’ex consulente Lorenzo Cola. Invece, Giuseppe Orsi è stato arrestato nelle scorse ore per corruzione internazionale. Era stato eletto amministratore delegato a maggio del 2011 e aveva successivamente assunto anche la carica di presidente nel dicembre successivo. Ma già a quell’epoca i magistrati napoletani avevano nei loro fascicoli i primi indizi per sviluppare l’indagine che lo ha portato in carcere stanotte.
Il provvedimento è stato firmato di magistrati della procura di Busto Arsizio, che avevano ricevuto nei mesi scorsi il fascicolo d’inchiesta dai colleghi napoletani. Il reato contestato è la corruzione internazionale, peculato e concussione, per presunte tangenti che sarebbero state pagate per la vendita di 12 elicotteri in India dalla Agusta Westland, la consociata di Finmeccanica della quale Orsi era l’ad prima di approdare al vertice del colosso di piazza Montegrappa. Insieme a lui, sono stati raggiunti da provvedimenti ristrettivi anche all’amministratore delegato di Agusta Westland, Bruno Spagnolini, che andrà ai domiciliari, e i due presunti mediatori della maxitangente, Guido Haschke e Carlo Gerosa, che sono stati fermati dalle autorità elvetiche in quanto residenti in Svizzera. Dopo l’esecuzione dei provvedimenti cautelari, gli investigatori del Noe dei Carabinieri hanno perquisito le abitazioni di numerosi manager del gruppo, anche a Roma e Milano. Nel capoluogo lombardo, i carabinieri hanno visitato gli uffici di Finmeccanica in piazza S.Babila e presso uno studio legale a Cornaredo. E ancora, sono state perquisite la sede di Agusta Westland, a Cascina Costa Samarate (Varese) e altre filiali dell’azienda.
Le indagini della procura partenopea, poi condotte da quella di Busto Arsizio che è competente per territorio perché la sede centrale di Agusta è in quel distretto giudiziario, erano partite dalle dichiarazioni di Lorenzo Borgogni, ex direttore delle relazioni esterne di Finmeccanica. Era stato lui a raccontare una serie di episodi di corruttela che si era verificata negli ultimi anni; tra questi il presunto pagamento di una maxi tangente da dieci milioni per aggiudicarsi una commessa milionaria per la fornitura di dodici elicotteri militari al governo indiano. Gli inquirenti napoletani arrivarono ad ipotizzare che dal prezzo finale di quei velivoli, che era di 560 milioni, fosse stata distratta una fetta di circa dieci per cento (51 milioni), che sarebbe stata ripartita tra i funzionari del governo indiano che avevano pilotato l’appalto, la politica italiana (Borgogni ipotizzò che dieci milioni fossero finiti alla Lega e a Comunione e Liberazione) e infine agli stessi della holding pubblica e ai due mediatori, Guido Ralph Haschke e Carlo Gerosa.
Sulla vicenda era stata avviata anche un’inchiesta del ministro della Difesa indiano, Antony Ak, che nella scorsa primavera aveva chiesto al segretario generale della Difesa Shashi Kant Sharmit di accertare che non fossero stati episodi di corruzione per la stipula del contratto che Agusta Westland firmò nel 2010 con la Indian Air Force, sbaragliando la concorrenza della statunitense Sikorsky Aircraft Corporation che voleva piazzare i suoi elicotteri S-92. Nell’ambito di quelle indagini furono richieste in via informale alle autorità indiane alcune conferme circa le trattative che portarono alla stipula della commessa.