L’AQUILA – Lo stabile di via D’Annunzio, costruito negli anni ’60 con modalità errate, è crollato in quella terribile notte del 6 aprile del 2009. Lunedì, dopo quasi otto anni, udienza in Corte d’Appello per l’unico imputato, l’ingegnere Fabrizio Cimino, accusato di omicidio colposo plurimo e disastro colposo. Condannato in primo grado a 3 anni e mezzo. In appello pena ridotta a dieci mesi, in Cassazione i giudici hanno annullato la condanna in secondo grado rinviando gli atti alla Corte d’Appello di Perugia. Ma siamo al limite dei sette anni e mezzo previsti per la prescrizione, una beffa per le parti civili che rischiano di vedere svanire nel nulla le proprie legittime istanze.
Gli inquirenti non sono riusciti ad incriminare i responsabili della costruzione del palazzo perchè tutti morti e si sono concentrati sulle attività di restauro del 2002 affidate all’ingegnere Fabrizio Cimino che, secondo l’accusa, avrebbe dovuto rilevare i problemi e comunicarli ai condomini. Oggi Cimino ha 84 anni e risiede in un hotel di Caracas in Venezuela.