ROMA – Con la direzione nazionale del Partito Democratico si apre l’era Martina: è il vicesegretario del Pd a condurre i lavori che mettono ufficialmente la parola fine alla leadership di Renzi. «In questo quadro duro e difficile, nel Lazio, la vittoria di Nicola Zingaretti e del Pd con la coalizione di centrosinistra è certamente un risultato molto significativo. Voglio poi ringraziare per la passione e l’impegno Giorgio Gori che ha combattuto una battaglia assai difficile in Lombardia», ha esordito Martina.
«E con lui voglio salutare tutte le candidate e i candidati eletti e non eletti che hanno lavorato con generosità e impegno in questi mesi così come chiedo un applauso di questa direzione a tutti i nostri militanti, iscritti e volontari per la passione e la straordinaria dedizione di questi mesi. E un grazie va al Presidente del consiglio Paolo Gentiloni, a tutti i ministri e al governo per l’impegno costante garantito anche in queste settimane».
Per seguire i lavori, nella sede del Partito democratico è presente anche il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Assente Matteo Renzi: a leggere la lettera di dimissioni dell’ex premier è stato Matteo Orfini: «Preso atto dei risultati elettorali rassegno le mie dimissioni. Ti prego di convocare l’Assemblea, in quella sede spiegherò le ragioni delle dimissioni».
«Io non mollo. Mi dimetto da segretario del Pd come è giusto fare dopo una sconfitta. Ma non molliamo, non lasceremo mai il futuro agli altri», ha scritto Matteo Renzi nella Enews, a poche ore dalla direzione Pd. «Abbiamo perso una battaglia, ma non abbiamo perso la voglia di lottare per un mondo più giusto», aggiunge: «Grazie per questi bellissimi anni di lavoro insieme. Il futuro prima o poi torna».
La «reggenza» del Pd è passata intanto a Martina, che in direzione annuncerà una gestione collegiale (in forme da definire) della travagliata fase di transizione. «Spetta a chi ha vinto la responsabilità del governo», dovrebbe dire Martina, ponendo il Pd all’opposizione. E la direzione dovrebbe approvare a stragrande maggioranza le sue parole, che potrebbero essere tradotte in un documento finale. «Le destre si sono mosse alla ricerca di un nuovo punto di esistenza e di attacco, molto diverso da quello neo-liberista, e lo hanno fatto principalmente attorno all’idea-ideologia di chiusura. E la sinistra? È chiaro cosa non c’è più, ma non è ancora chiaro quello che ci può essere». «Manca ancora – aggiunge – una risposta globale di sinistra, progressista e democratica, a questo radicale mutamento dove globalizzazione e rivoluzione tecnologica espongono le persone a nuovi rischi. Non basta più alzare la bandiera della società aperta. Perché mentre noi raccontavamo il sogno globale, i cittadini più fragili domandavano protezione».
Il tentativo è per ora evitare «conte», sia in direzione che la prossima settimana, quando si dovranno eleggere i capigruppo. Già si ragiona di una presidenza renziana e una di mediazione (si citano Guerini e Rosato alla Camera, Bellanova e Parrini o anche Pinotti al Senato). E Matteo Orfini tira il Pd fuori anche dalle presidenze delle Camere, definendo «legittimo» che vadano a M5s e Lega, con una soluzione che eviterebbe dispute interne. Ma i prossimi passaggi sono tutt’altro che scontati e tra i Dem c’è chi non reputa chiusi i giochi neanche per la presidenza delle Camere: il primo ostacolo – ammettono però – è che il Pd dovrebbe essere tutto unito per trattare.