TORINO – La procura di Torino ha emesso sette ordinanze di custodia cautelare nei confronti dei componenti della famiglia Ligresti, Salvatore e i suoi tre figli, e i due ex amministratori delegati, Fausto Marchionni ed Emanuele Erbetta, e l’ex vice presidente pro-tempore, Antonio Talarico. I provvedimenti giudiziari, nell’ambito dell’inchiesta Fonsai, sono scattati per le ipotesi di reato di falso in bilancio aggravato e manipolazione del mercato.
Salvatore Ligresti, ex presidente onorario di Fonsai, è agli arresti domiciliari nella sua abitazione di Milano. Domiciliari anche per Talarico e Marchionni. Per gli altri arrestati è stata disposta invece la custodia cautelare in carcere. Secondo l’accusa, avrebbero fittiziamente sottostimato nel bilancio 2010 le riserve assicurative per 600 milioni di euro al fine di evitare ricadute sul titolo Fonsai. “Un’informazione sensibile e determinante per le scelte degli investitori, la cui mancata comunicazione ha cagionato un grave danno ad almeno 12.000 risparmiatori”, si legge nel comunicato della Fiamme gialle, che fa riferimento all’ammanco contestato.
Secondo gli inquirenti, inoltre, “la sottovalutazione della riserva sinistri ha consentito negli anni di distribuire utili per oltre 253 milioni di euro (drenati da Fondiaria Sai e da altri) alla Premafin, laddove invece si sarebbero dovute registrare delle perdite”. E “la famiglia Ligresti, contando sulla compiacenza del top management, si è assicurata oltre al costante flusso di dividendi anche il via libera a numerose operazioni immobiliari con parti correlate”, spiega una nota distribuita durante la conferenza stampa.
La procura di Torino sta ora valutando il sequestro del patrimonio della famiglia Ligresti. “Per la tutela dei piccoli risparmiatori – ha spiegato il procuratore aggiunto Vittorio Nessi – i sequestri civilistici non sono consentiti perché occorre che ci sia almeno il rinvio a giudizio degli indagati. Si stanno valutando, invece, ulteriori possibilità per quanto riguarda il sequestro ‘per equivalente’ finalizzato alla confisca”. Si tratta, tecnicamente, del sequestro del cosiddetto “profitto del reato”, cioè della somma che i magistrati valuteranno come ottenuta indebitamente dagli indagati.