ROMA – Via libera del Senato al governo di Paolo Gentiloni che, dopo l’ok della Camera di ieri, ottiene così la fiducia del Parlamento. Il via libera di Palazzo Madama arriva con 169 voti favorevoli, 99 voti contrari e 0 astenuti. Il governo di Matteo Renzi, il 25 febbraio del 2014, ottenne la prima fiducia del Senato con lo stesso numero di voti favorevoli. Ala e Lega non hanno partecipato al voto mentre il M5S alla seconda chiama ha votato in massa no.
Sono stati in 30 su 35 a esprimere il voto contrario. A differenza dei deputati che ieri hanno abbandonato l’Aula della Camera, al Senato, alla luce dei numeri diversi e delle incognite del voto, si è preferito, viene spiegato, partecipare per fare sentire il peso dell’opposizione e dei 20 milioni di No al referendum. L’aula tornerà a riunirsi martedì 20 dicembre. Nella stessa giornata è convocata la conferenza dei capigruppo. Gentiloni, parteciperà domani mattina a Bruxelles al vertice dei capi di Governo socialisti europei. Sarà il primo appuntamento internazionale, dopo avere ottenuto la fiducia del Parlamento italiano.
«Chiedo la vostra fiducia ed esprimo la mia fiducia nel Senato» ha esordito così il premier nell’Aula di Palazzo Madama. E il confronto con Matteo Renzi, che si presentò mani in tasca ad annunciare la riforma per “chiudere” il Senato, restituisce l’immagine più tangibile della vittoria del No al referendum. La riforma del governo Renzi («L’ho condivisa pienamente», rivendica Gentiloni) è stata bocciata dai cittadini e dunque il Senato continuerà a esistere nel pieno delle sue funzioni. «Quindi – ha premesso il nuovo premier, guardando i banchi dell’emiciclo – la fiducia che chiedo al Senato è un po’ particolare: chiedo la vostra fiducia ed esprimo la mia nei confronti del prerogative del Senato».
Dopo il passaggio di ieri alla Camera, il presidente del Consiglio ha ascoltato il dibattito nell’Aula di Palazzo Madama, prima di replicare. I banchi dell’opposizione semideserti: M5s e Lega proseguono il loro “aventino” contro la prosecuzione della legislatura. E Gentiloni ha scelto di chiudere ancora una volta il suo intervento, lungo circa venti minuti, con un richiamo a loro rivolto: «Difenderò le prerogative del Parlamento nei confronti di tutti. Invito chi in questi mesi si è battuto alzando la bandiera del Parlamento contro ipotetici e a mio avviso inesistenti tentativi autoritari a rispettare il Parlamento e a partecipare alle sue riunioni in modo civile».
«Sottrarsi alla responsabilità sarebbe stato più utile dal punto di vista politico partitico ma molto più pericoloso per il Paese» ha aggiunto il premier, che davanti ai senatori ha riconosciuto a Renzi la «coerenza» di essersi dimesso dopo la bocciatura della sua riforma. Il nuovo governo, ricorda, durerà finché avrà la fiducia, ma «a prescindere» dalla data del voto è «urgente» intervenire sulla legge elettorale. Il governo «non sarà attore protagonista» ma «avrà il compito di facilitare la ricerca di una soluzione e avrà il compito anche di sollecitare le forze politiche», spiega. Nella consapevolezza che il sistema di voto influenzerà il nuovo assetto del sistema politico.
Quanto al programma, dopo un passaggio sulla «tragedia inaccettabile» di Aleppo, Gentiloni ha sottolineato: «Il governo deve innanzitutto completare la eccezionale opera di riforma, innovazione, modernizzazione di questi ultimi anni. Sarebbe assurdo che un governo che molti critici accusano di eccesso di continuità, immaginare che completare le riforme avviate non sia il suo compito principale». Poi un passaggio sulla povertà («I dati sono in crescita») e il Sud, le banche e il lavoro. Il traguardo, ha affermato, è un sistema di tutele universali: «Serve serietà e consapevolezza perché non lo risolviamo purtroppo con facili slogan».
«Se si dovesse andare ad elezioni anticipate diventa ovvio che per legge l’eventuale referendum sul jobs act sarebbe rinviato». Così il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha risposto a chi gli chiedeva se nel dibattito interno al Pd la decisione della Corte Costituzionale sul referendum sul jobs act potesse creare e favorire nuove spaccature. Poletti sul merito dell’eventuale sentenza ha aggiunto che «il governo attende la decisione nel pieno rispetto delle competenze della Corte Costituzionale».