ROMA – Alle sette e mezzo della sera Ignazio Marino non è più un sindaco di Roma. Il primo cittadino si è arreso dopo una giornata frenetica. «Tutto il mio impegno ha suscitato una furiosa reazione. Sin dall’inizio c’è stato un lavorio rumoroso nel tentativo di sovvertire il voto democratico dei romani. Oggi quest’aggressione arriva al suo culmine», scrive il sindaco, nel messaggio in cui motiva la sua decisione. E continua: «Esiste un problema di condizioni politiche per compiere questo percorso. Queste condizioni oggi mi appaiono assottigliate se non assenti. Per questo ho compiuto la mia scelta: presento le mie dimissioni».
«Le mie dimissioni non sono una resa- scrive nero su bianco il già ex sindaco Marino- e temo che dopo di me torni il meccanismo corruttivo-mafioso». Tagliente e per niente sconfitto. Anzi Marino lascia anche uno spiraglio. Che suona come un avvertimento. «Presento le mie dimissioni -scandisce- Sapendo che queste possono per legge essere ritirate entro venti giorni. Non è un’astuzia la mia: è la ricerca di una verifica seria, se è ancora possibile ricostruire queste condizioni politiche». Nella lettera il sindaco fa anche riferimento alle critiche sulle spese: «Nessuno pensi o dica che lo faccio come segnale di debolezza o addirittura di ammissione di colpa per questa squallida e manipolata polemica sulle spese di rappresentanza e i relativi scontrini successivamente alla mia decisione di pubblicarli sul sito del Comune».
Nelle ultime ore l’avevano lasciato anche il vice sindaco Marco Causi e due assessori Stefano Esposito (Trasporti) e Luigina Di Liegro (Turismo). Il primo cittadino aveva provato a resistere: «Chi non difende la mia giunta vuole rimettere la città nelle mani dei mafiosi». Ma la pressione di Pd e Sel, pronti a sfiduciarlo, è stato troppa. «È finita. Si va a casa», confermavano fonti del Partito democratico. Nel pomeriggio c’è stato anche l’incontro tra il commissario del Pd Matteo Orfini e il segretario Sel Paolo Cento. Di fronte al ritardo delle dimissioni di Marino i due avevano concordato la linea dura: sfiduciare in Aula il primo cittadino.
«La fine è inevitabile», aveva detto in mattinata lo stesso Esposito. Di fatto quella dei democratici è una sfiducia totale nei confronti di Marino che ha inanellato una serie di errori politici e di comportamenti personali. Per ricordarne alcuni la sua presenza a Philadelphia all’incontro con il Papa senza essere stato invitato nonostante lui avesse detto di esserlo stato. Poi l’ultima: il pagamento delle sue spese all’estero con la carta di credito del Comune per poi dire, come ha fatto ieri,che avrebbe pagato di tasca propria quelle spese.