ROMA – Papa Francesco interviene sul complesso tema del “fine vita” nel suo messaggio inviato a monsignor Vincenzo Paglia e ai partecipanti al meeting regionale europeo della World Medical Association in corso in Vaticano e promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita: “E’ moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito “proporzionalità delle cure””.
Ribadendo quanto già stabilito nel 1980 dalla Dichiarazione sull’eutanasia della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Papa spiega che l’aspetto peculiare di tale criterio è che prende in considerazione «il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali». Consente quindi di giungere ad «una decisione che si qualifica moralmente come rinuncia all’“accanimento terapeutico”».
Oggi, in particolare, osserva il Papa, «è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona». Serve pertanto «un supplemento di saggezza» per affrontare tali questioni.
Bergoglio guarda ai passi avanti fatti dalla medicina e dalla scienza per dare una risposta alle domande che riguardano la fine della vita terrena. Quesiti che hanno sempre interpellato l’umanità, ma che oggi, annota, «assumono forme nuove per l’evoluzione delle conoscenze e degli strumenti tecnici resi disponibili dall’ingegno umano». «La medicina ha infatti sviluppato una sempre maggiore capacità terapeutica, che ha permesso di sconfiggere molte malattie, di migliorare la salute e prolungare il tempo della vita». E «oggi è anche possibile protrarre la vita in condizioni che in passato non si potevano neanche immaginare». Gli interventi sul corpo umano diventano «sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute».
Il «supplemento di saggezza» è pertanto fondamentale. Papa Francesco richiama le parole di Pio XII nel discorso rivolto 60 anni fa ad anestesisti e rianimatori: «Non c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili e che, in casi ben determinati, è lecito astenersene», affermava Pacelli.
E Bergoglio insiste: «È una scelta che assume responsabilmente il limite della condizione umana mortale, nel momento in cui prende atto di non poterlo più contrastare». Lo stesso Catechismo della Chiesa cattolica dice che: «Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire». Questa differenza di prospettiva «restituisce umanità all’accompagnamento del morire, senza aprire giustificazioni alla soppressione del vivere», evidenzia il Papa. «Vediamo bene, infatti, che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso, equivale a evitare l’accanimento terapeutico , cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte».
Certo non sempre è facile e non è sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale «per stabilire se un intervento medico clinicamente appropriato sia effettivamente proporzionato»: «Quando ci immergiamo nella concretezza delle congiunture drammatiche e nella pratica clinica, i fattori che entrano in gioco sono spesso difficili da valutare», osserva il Papa. Che esorta perciò ad avere «un attento discernimento, che consideri l’oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti».
Inoltre, non va dimenticato che nel percorso di cura e accompagnamento è la persona malata a rivestire «il ruolo principale», ad assumere le decisioni «se ne ha la competenza e la capacità», a «valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalità fosse riconosciuta mancante». Ovviamente tutto «in dialogo con i medici».
Anche questa è un’ardua valutazione dell’attività medica: «la relazione terapeutica si fa sempre più frammentata e l’atto medico deve assumere molteplici mediazioni, richieste dal contesto tecnologico e organizzativo». Senza trascurare il fatto che «questi processi valutativi sono sottoposti al condizionamento del crescente divario di opportunità, favorito dall’azione combinata della potenza tecnoscientifica e degli interessi economici».
«Trattamenti progressivamente più sofisticati e costosi – annota Bergoglio – sono accessibili a fasce sempre più ristrette e privilegiate di persone e di popolazioni, ponendo serie domande sulla sostenibilità dei servizi sanitari». «Una tendenza per così dire sistemica all’incremento dell’ineguaglianza terapeutica» che è «ben visibile a livello globale, soprattutto comparando i diversi continenti», e che è presente anche all’interno dei Paesi più ricchi «dove l’accesso alle cure rischia di dipendere più dalla disponibilità economica delle persone che dalle effettive esigenze di cura».
Nella complessità determinata da tali fattori sulla pratica clinica ma anche sulla cultura medica generale, «occorre – a detta del Vescovo di Roma – tenere in assoluta evidenza il comandamento supremo della prossimità responsabile». Anzi, «si potrebbe dire che l’imperativo categorico è quello di non abbandonare mai il malato». Mai, anche in quel momento in cui «l’angoscia della condizione che ci porta sulla soglia del limite umano supremo, e le scelte difficili che occorre assumere, ci espongono alla tentazione di sottrarci alla relazione».
Invece no: «amore e vicinanza» sono necessari «più di ogni altra cosa», «riconoscendo il limite che tutti ci accumuna». «Ciascuno dia amore nel modo che gli è proprio: come padre o madre, figlio o figlia, fratello o sorella, medico o infermiere. Ma lo dia!», scrive Papa Francesco. «E se sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte».
Proprio in questa linea che si muove la medicina palliativa che «riveste una grande importanza anche sul piano culturale, impegnandosi a combattere tutto ciò che rende il morire più angoscioso e sofferto, ossia il dolore e la solitudine», sottolinea il Papa. E chiede «pacatezza» per affrontare argomenti delicati come questi nelle società democratiche: vanno trattati «in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise».
Da una parte, infatti, bisogna tener conto «della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza». D’altra parte, «lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza per cui ciascuno è riconosciuto dal diritto come essere umano che vive insieme agli altri in società».
L’ultimo pensiero del Papa è per i più deboli, coloro che non possono far valere da soli i propri interessi. «Se questo nucleo di valori essenziali alla convivenza viene meno, cade anche la possibilità di intendersi su quel riconoscimento dell’altro che è presupposto di ogni dialogo e della stessa vita associata», scrive. «Anche la legislazione in campo medico e sanitario richiede questa ampia visione e uno sguardo complessivo su cosa maggiormente promuova il bene comune nelle situazioni concrete».