ROMA – Entro il 17 gennaio il governo dovrà attuare la delega per la depenalizzazione di diversi reati e tra questi c’è anche il reato di immigrazione clandestina: che sarà abrogato, ma resterà comunque in vigore l’espulsione dal territorio italiano. Un reato che non prevede il carcere, ma solo un’ammenda dai 5 ai 10 mila euro, di fatto somme inesigibili che impegnano i tribunali con migliaia di procedimenti.
Ma per attuare una decisione simbolicamente molto forte si pone il problema in questa fase di come fare passare il messaggio senza creare contraccolpi nella pubblica opinione. «Ciò non deve creare allarme di ordine pubblico, anzi renderà più spedite ed efficaci le espulsioni senza intasare i tribunali e consentirà di acquisire con la forza della testimonianza le indagini sulla criminalità che organizza gli sbarchi clandestini», spiega Donatella Ferranti, presidente della Commissione Giustizia della Camera.
A sentire uno dei più alti in grado del vertice Pd, «noi siamo favorevoli a procedere, non solo perché ce lo chiedono i tecnici, ma perché così tra unioni civili e ius soli sarà difficile dire che non siamo un partito di sinistra». Il problema ora è di spiegare questa decisione con le giuste motivazioni dopo i fatti di Colonia, la pressione sui confini e le tensioni con l’Ue. «C’è una legge delega approvata in parlamento nel 2014 – spiega la Ferranti – che prevede una serie di depenalizzazioni per reati per i quali è prevista una pena pecuniaria. La legge introdotta dal governo Berlusconi, che per il solo fatto di entrare clandestino prevede un reato con ammenda fino a 10 mila euro, ha creato migliaia di processi a tutti questi immigrati che non possono essere sentiti come testimoni in quanto indagati. Procedimenti che intasano tribunali e procure». Mentre rimane in piedi il reato con reclusione fino a 5 anni per chi favorisce e trasporta e organizza l’immigrazione clandestina, il reato di immigrazione clandestina allo stato si estingue quando si procede all’espulsione.
«Vogliamo depenalizzarlo e in tal senso si è speso molto il procuratore antimafia, spiegando che ciò crea un ostacolo agli accertamenti sulla criminalità organizzata, perché mentre un testimone ha l’obbligo di rispondere, l’indagato per reato connesso ha diritto di non rispondere». A quanto risulta, il ministro Orlando ha già mandato il testo del decreto alla presidenza del Consiglio, tenendo conto delle osservazioni fatte da Camera e Senato sui decreti attuativi di depenalizzazione. Ora si tratterà anche di convincere Alfano e Ncd. Anche se, fonti Pd, ricordano che «pochi mesi fa il ministro si era espresso a favore. E poi è difficile pensare che sia contrario a una definitiva presa di distanze dalla Bossi-Fini».