ROMA – Non sono bastati l’appello del capo dello Stato alle riforme “sul lavoro serve più coraggio” né il decisionismo emerso dalle parole del premier Renzi nei giorni scorsi, a placare il braccio di ferro del governo con la minoranza del Partito democratico sulla riforma del lavoro. Oggi una trentina (si va da un minimo di 28 a un massimo di 38 esponenti) di senatori dem ha deciso di presentare sette emendamenti alla legge delega sul lavoro.
Un segno della divisione interna al partito di maggioranza del Paese, in cui emergono resistenze forti al progetto di riforma proposto dall’esecutivo renziano. Gli emendamenti, spiega però la senatrice Maria Cecilia Guerra, non vanno però visti come «un aut aut»«Non è nel nostro spirito – ha sottolineato – E non facciamo neanche agguati». Da parte sua, il ministro Poletti, al termine della riunione del Pd al Senato, sembra deciso ad andare avanti («La discriminazione l’unico caso per il reintegro»), nonostante poi apra «alla discussione» sui punti caldi segnalati dalle minoranze. Precisando, comunque, che «questo posso dire io, io faccio il ministro», al resto «pensi il segretario del Partito democratico».
Nelle proposte di modifica della minoranza, si va dalla precisazione in merito all’articolo 18 al capitolo degli ammortizzatori. Emendamenti che si riferiscono tutti all’articolo 4 della legge delega, che riguarda il contratto a tutele crescenti e dunque il riordino delle forme contrattuali.
Tra le proposte di modifica al Job act, quello che riguarda l’argomento più caldo e discusso di questi giorni, l’articolo 18: per i senatori (la prima firma è di Federico Fornaro) il vincolo del licenziamento per giusta causa deve riguardare tutti i neoassunti dopo i tre anni di contratto a tutele crescenti. Un altro emendamento riguarda il contratto a tempo indeterminato, che va promosso come «forma privilegiata di contratto di lavoro», rendendolo «progressivamente più conveniente rispetto agli altri tipi di contratti in termini di oneri diretti e indiretti». La proposta, a prima firma della senatrice Maria Grazia Gatti, ha raccolto il consenso di altri 33 senatori.