ROMA – Il governo presenta l’emendamento al Jobs Act frutto della mediazione con la minoranza del Pd e lancia un rush finale per l’approvazione in Aula. Il diritto al reintegro nel posto di lavoro sarà limitato ai licenziamenti nulli e discriminatori e «a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato». Per i licenziamenti economici viene esclusa la possibilità del reintegro nel posto di lavoro prevedendo «un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio».
I cambiamenti di maggiore impatto riguardano una più drastica sforbiciatura delle forme di lavoro atipico e precario, e l’aumento delle risorse per i loro ammortizzatori sociali. La prima misura è facilmente attuabile, per la seconda bisognerà trovare le risorse. Si parla di «una rete più estesa» di tutele, sia per i precari che per i disoccupati. In teoria, servirebbero risorse aggiuntive rispetto a quelle inserite nella Legge di Stabilità. La delega lascia intendere che l’unica fattispecie che salterà sarà quella del co.co.pro. Il Pd aveva invece ipotizzato una più ampia «riduzione delle forme contrattuali».
Un lavoratore di un’azienda con più di 15 dipendenti licenziato prenderà un’indennità economica dal suo datore di lavoro, non oggetto di trattativa. Quanto, lo diranno i decreti delegati. La reintegra – obbligata per i licenziamenti «discriminatori» – tornerà solo per i licenziamenti disciplinari ingiustificati.
Nessun imprenditore dirà mai che licenzia per le idee politiche o l’orientamento sessuale del dipendente, cosa proibita da legge e Costituzione, ma lo definirà «economico». Non è chiaro se spetta al lavoratore o meno dimostrare il contrario. In ogni caso maternità, malattia, credo religioso e affini non possono essere causa di licenziamento.
Qui ci sarà una novità, e sarà consentito – per alcune fattispecie, però, non per tutti i casi di licenziamento disciplinare – al giudice di stabilire che il lavoratore possa riavere il suo posto, qualora il licenziamento risulti ingiustificato o sproporzionato alla mancanza commessa. Quando un’azienda licenzia qualcuno con un’accusa disciplinare, oggi con le regole della riforma Fornero, non sempre è un giudice a dire se l’accusa era fondata o meno, e se la sanzione è proporzionata. In alcuni casi prevalgono infatti le regole stabilite nei contratti collettivi.
Con il Jobs Act, intanto, la prima novità sarà che un giudice interverrà sempre, e di norma concederà solo un’indennità economica nei casi non giustificati. Con le novità concordate ieri nel Pd – ma che non sono gradite al Nuovo Centrodestra – per alcune tipologie di situazioni il giudice potrà prevedere anche il recupero del posto di lavoro. Secondo il governo non c’è nessun ritorno mascherato dell’articolo 18, perché i licenziamenti disciplinari – peraltro relativamente pochi – saranno definiti in modo chiaro.
Dopo l’alt di ieri anche Ncd sembra aver ritirato le proprie riserve sul testo: «Siamo vicinissimi ad un accordo con il Pd sul lavoro» spiega Alfano. «Ho sentito il senatore Sacconi- ha detto il ministro- e credo che ci siamo». Ieri il Nuovo centro destra era salito sulle barricate perché l’emendamento del governo sarebbe stato diverso da quanto concordato.
Sulla possibilità di partire a gennaio con le nuove regole per il mercato del lavoro il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha detto: «Sono ottimista, vedo che la determinazione del governo e del presidente del Consiglio di andare avanti è ferrea». Stamattina la commissione Lavoro ha approvato commi 5 e 6 del Jobs act, quelli che riguardano tra le altre cose la semplificazione delle procedure per l’assunzione. L’obiettivo è di chiudere l’esame in Commissione giovedì 20 e approdare in Aula il 21, con voto finale previsto il 26 novembre, come stabilito alla Camera con 95 voti di differenza.