ROMA – Trovare i 30 miliardi ipotizzati per allestire la nuova legge di stabilità non è semplice. Molto è legato al flop della spending review, che avrebbe dovuto fruttare ben 10 miliardi, poi scesi a 7 e ora a 6, compresi 2 miliardi di sforbiciata al patto della salute, che tanto fa arrabbiare le Regioni, 1,5 centralizzando gli acquisti della pubblica amministrazione ed altri 1,5 frutto dei tagli lineari e semi-lineari ai ministeri. In realtà a Palazzo Chigi, alla vigilia del varo della nuova manovra, sono abbastanza ottimisti e spiegano che male che vada, se non si potrà sfruttare la clausola di flessibilità sui migranti, ci si fermerà a quota 27.
E per corroborare la spending review, oltre al previsto taglio alle partecipate (si scenderà da 8 mila a mille) il governo prevede di ridurre il numero dei super-dirigenti e di tagliare di un altro 10% gli uffici di diretta collaborazione dei ministeri, oltre ad applicare i costi standard come regola generale della pubblica amministrazione. Di certo il tetto del 2,2% di deficit verrà rispettato e l’Italia sarà tra i Paesi europei «che rispettano in pieno le regole».
Con la spending che arranca e con 3 miliardi di flessibilità aggiuntiva sul deficit, quella sui migranti, che non si possono contabilizzare, la manovra per il 2016, salvo invenzioni dell’ultima ora, rischia però di rimpicciolirsi. Questo significa fare delle scelte e sacrificare qualche progetto. La rinuncia più grande potrebbe riguardare l’anticipo del taglio dell’Ires che in un primo tempo Renzi aveva previsto per il 2017. Per rafforzare il pacchetto-imprese, il cui cardine è il cosiddetto super-ammortamento al 140% dei beni, si pensava di tagliare da subito almeno di un punto il prelievo sulle imprese (costo 1,2 miliardi) e completare poi l’opera l’anno seguente portando l’aliquota sotto il 23%. Ieri si è deciso che se non arriverà l’ok della Ue alla flessibilità aggiuntiva non se ne farà nulla.
Intanto però verrà ridotto il «bonus assunzioni» da 8060 euro che dall’anno prossimo verrà dimezzato come importo e limitato a due anni (anziché tre) e quindi ulteriormente ridotto nel 2017 per essere nel 2018. Ieri l’Inps ha certificato l’efficacia delle misure a favore dell’occupazione: anche se gli sgravi sui contratti a tempo indeterminato sono già costati 1,4 miliardi di minori introiti, nei primi 9 mesi dell’anno il gettito contributivo è passato da 75,5 a 76,5 miliardi (+1,36%). Al fondo povertà verranno destinati invece 600 milioni in più, che fa salire il totale disponibile a quota 1,4 miliardi. Ed in più spunta l’idea di allargare la no tax area a favore dei pensionati.
Diverse le novità in materia di pensioni. Come prima cosa utilizzando le economie fatte sulle precedenti salvaguardie (1,3 miliardi) il governo ne introdurrà una settima a favore di circa 24 mila esodati (contro i 50 mila sinora stimati). Quindi dovrebbe essere prorogata l’Opzione donna, per consentire l’uscita anticipata alle lavoratrici con 57 anni di età e 35 anni di contributi.
E infine, in attesa di affrontare più avanti la questione della flessibilità in uscita, potrebbe arrivare anche un incentivo per il part-time degli over 63 (100 milioni di dote): sulla base di accordi individuali si potrà optare per un part-time al 40%-60%, col datore di lavoro che versa in busta paga i contributi netti che normalmente avrebbe versato all’Inps. Il lavoratore avrà in cambio contributi figurativi e quando uscirà del tutto dal mondo del lavoro non vedrà intaccata la sua pensione. Oltre a questa misura, sempre per gli over 63, è prevista anche l’adozione di contratti di solidarietà espansivi destinati a favorire le nuove assunzioni.