Molta intellettualità si pone, da sempre il problema dell’errore storico, poiché, sempre secondo costoro l’errore è la situazione normale della mediocrità. Secondo me, invece, è un falso problema; l’errore è la condizione unica, ancorché irrinunciabile e necessaria della genialità. E dunque, classifichiamo l’errore come confine dell’emozione; errare allora presume coraggio nel momento della sperimentazione, o meglio dell’innovazione.
Nessuna emozione, o peggio, può esistere senza l’errore, che in realtà non va inteso nel vero senso semantico del termine, cioè la non conoscenza. Può o deve esser visto nel senso della visione individuale, o per dirla in altre parole, dall’ interpretazione che si può avere. Tentativi velleitari, spesso sfociati nel patetico di eliminazione dell’errore, hanno portato l’arte, e di questo campo parliamo, a diventare comunicazione fredda e “ pura”, e di conseguenza , incriticabile!
La non criticabilità, è un paradigma che porta all’immobilità intellettuale, al non cambiamento; in altri termini, si cade nella sterilità antidialettica. Parlare di errore, inevitabilmente porta o sposta il discorso nel campo della professionalità, soprattutto quella del campo teatrale, ma questa espressione, spesso va considerata come “aberrazione intellettuale”, e l’efficienza, sua gemella legittima, allo stesso modo, diventa sinonimo di afonia, che si definisce ideologica o culturale, nel senso che dopo aver assistito a spettacoli teatrali, ancorché ben realizzati, professionalmente di alto valore, si ha a che fare con testi per lo meno discutibili, e con attori manichini. Dizione, perfetta, certo, ma molto spesso artefatta e falsa, lontanissima da una pur minima emozione, perciò senza voce, dunque afona. Il tutto sotto la voce “professionalità”, che è diventato cavallo di battaglia di certuna intellighentsija teatrale, in realtà è l’alibi banale del pessimo gusto della borghesia “colta”. Idea orripilante, poiché impone una visione della scena teatrale alla pari di un prodotto mediatico – commerciale, significa un prodotto di artigiani mediocri, tuttavia di accettabile talento.
In ultima analisi, certe teatralità, ben lungi anni luce dall’arte del dialogo, (il cui maestro in Italia, è solo un nome: Eduardo De Filippo, che appunto, dialoga, con la sua cadenza partenopea) offrono sicuramente una tranquillità culturale, appena al di sopra della decenza, ma molto al di sotto del vero valore artistico, l’inarrivabile emozione.
Arxis