ROMA – L’ambasciatore americano in Libia, Chris Stevens, è rimasto ucciso ieri nell’assalto contro la sede di rappresentanza Usa a Bengasi, assieme a un funzionario e due Marines. Il diplomatico era arrivato nel pomeriggio nella “capitale” della Cirenaica per raccogliere gli umori alla vigilia della nomina del nuovo premier libico, prevista oggi. In serata, poco dopo le 21.30, una folla inferocita e armata ha preso d’assalto l’edificio: dopo una feroce sparatoria a colpi di Rpg e armi automatiche, i dimostranti hanno appiccato le fiamme alla struttura, che si trova all’interno di un compound, e issato la bandiera nera islamica dopo aver strappato e bruciato quella americana.
Alcuni testimoni che hanno chiesto l’anonimato hanno riferito di aver notato numerosi membri della milizia islamica Ansar Al-Sharia tra i dimostranti, e secondo fonti concordanti, i violenti scontri a fuoco sono andati avanti per diverse ore, almeno tre. La milizia è nota perchè è attiva nella regione, qualche volta ha tentato raid dimostrativi nel centro della città, incontrando però la ferma ostilità della popolazione e delle altre milizie armate del dopo-Gheddafi. Scorrazzano nelle zone desertiche a sud, dove i miliziani sono stati protagonisti di numerosi atti di intimidazione anche ai danni di cittadini italiani. L’assalto di ieri è iniziato con «un gran botto», secondo alcune testimonianze le esplosioni sarebbero state alla fine almeno dieci.
In serata anche l’ambasciata americana del Cairo era stata presa d’assalto dai dimostranti a causa del film su Maometto prodotto da copti negli Usa considerato offensivo per l’Islam. La circostanza ha fatto collegare l’assalto di Bengasi alla pellicola. «L’Islam è un cancro. La pellicola ‚ un film politico, non un film religioso»: così Sam Bacile, regista e produttore del film ha descritto al Wall Street Journal il senso del suo lungometraggio. Ma secondo i siti collegati alla galassia di Al Qaeda, il film è solo una falsa pista: la morte dell’ambasciatore Usa è «una reazione della milizia Ansar Al-Sharia alla conferma della morte di Abu al-Libi», il libico numero due di Al Qaeda, arrivata ieri da Ayman al Zawahiri. Il 5 giugno scorso gli Usa avevano confermato la morte del libico. Quella sera una bomba è esplosa proprio davanti alla sede del consolato Usa di Bengasi. Secondo le autorità libiche, invece, dietro l’attacco ci sarebbero fedelissimi dell’ex dittatore Muammar Gheddafi.
«Sarà fatta giustizia», ha annunciato il presidente americano Barack Obama, assicurando che gli Stati Uniti lavoreranno con le autorità libiche per individuare e assicurare alla giustizia «gli assassini» autori degli attacchi «oltraggiosi» alle ambasciate a stelle e strisce. È una «violenza senza senso» quella che ha portato alla morte dei diplomatici, ha continuato, pur sottolineando come «ogni denigrazione di qualsiasi credo religioso vada rigettata». E intanto ha dato ordine di fornire le risorse necessarie per la sicurezza del personale Usa in Libia e per aumentare le misure di sicurezza in tutte le sedi diplomatiche statunitensi nel mondo, si legge in una nota della Casa Bianca. In particolare il numero uno degli Stati Uniti avrebbe deciso di inviare in Libia un reparto di circa 200 marines specializzato nella lotta al terrorismo: una squadra di “teste di cuoio” appartenente al Fast (Fleet Antiterrorism Security Team), che dovrebbe collaborare con le forze dell’ordine libiche.