
ROMA – Quando l’inchiesta Mafia Capitale deflagrò sulla Capitale nell’ordine di cattura il gip scriveva che l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno aveva intascato soldi per la campagna elettorale. Per l’esponente di Fratelli d’Italia, indagato per 461 bis, c’è una seconda puntata. Perché anche nella nuova ordinanza di custodia cautelare, che oggi ha portato a 44 arresti, si parla di lui come del politico che aveva chiesto aiuto e sostegno per le europee.
Gli inquirenti sono certi che per le elezioni al Parlamento europeo del maggio 2014 l’ex primo cittadino della Capitale si rivolse a Salvatore Buzzi, l’uomo delle coop, l’uomo che pagava tutti e sosteneva che i consiglieri comunali di Roma doveva stare ai suoi ordini. Agli atti ci sono le intercettazioni tra Alemanno, che non era candidato nel Lazio ma in alcuni regioni del Sud, e Buzzi e quest’ultimo e Massimo Carminati, l’uomo ritenuto il capo dell’organizzazione e da mesi detenuto in regime di 41 bis.
E Buzzi, che, secondo gli inquirenti romani, aveva collegamenti con la criminalità organizzata calabrese, si era mosso per ottenere il sostegno alla candidatura anche con gli uomini della cosca ‘ndranghetista dei Mancuso di Limbadi. Il gip descrive nell’ordine di cattura i rapporti e “cointeressenze di natura economico/criminali tra Mafia Capitale e la cosca calabrese” sottolineando come “un ulteriore tassello idoneo a corroborare il rapporto di reciproco riconoscimento tra le due organizzazioni è costituito dai riscontri intercettivi (le intercettazioni, ndr) effettuati in occasione delle elezioni del Parlamento Europeo 2014, che hanno visto il politico Giovanni Alemanno, candidato nella lista “Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale”, nella circoscrizione Sud“.
Le indagini hanno consentito di rilevare come “a fronte di una richiesta di sostegno da parte di Alemanno, sin dalla fine del mese di marzo 2014 Buzzi avesse espressamente richiesto, per il tramite di Giovanni Campennì, appoggio all’organizzazione criminale calabrese (di cui quest’ultimo è ritenuto espressione), per procurare i necessari consensi in occasione della campagna elettorale dell’ex sindaco di Roma”. Buzzi, in una conversazione con Massimo Carminati intercettata il 21 marzo del 2014, riferiva l’esito di un incontro avuto poco prima con Alemanno presso gli uffici della “Commissione Commercio” a Roma. “Buzzi – scrive il gip – riferiva del sostegno richiesto in quell’occasione dall’ex primo cittadino (“no, no era pè la campagna elettorale … una sottoscrizione e poi se candida al sud“) e rappresentava al sodale come avesse individuato Campennì, indicato con il solo nome di battesimo, quale strumento idoneo per assecondare tale richiesta (“.. da Giovanni … gli famo fa ..”). Buzzi, il giorno seguente contattava “Giovanni Campennì, al fine di interessarlo per “da ‘na mano a Alemanno … in campagna elettorale …”. Buzzi, però, sapeva bene che Campennì non era un imprenditore qualsiasi: “Ndrina… ‘ndrina come stai? ‘ndrina… c’è qua la ‘ndrina vera… questa è la ‘ndrina vera… “ commentava a voce alta accogliendo Campennì nel suo ufficio il 16 maggio del 2014. Uomo, per i magistrati romani, rappresentante della cosca Mancuso sbarcato a Roma grazie ai contatti sviluppati da altri due calabresi, Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, arrestati dai carabinieri del Ros l’11 dicembre 2014.
Secondo gli inquirenti il tentativo “di Buzzi di mascherare, in maniera evidentemente strumentale con l’interlocutore (“sto numero è intercettato … però so telefonate legali ..”), l’illecita richiesta pervenutagli, facendola passare come innocua e legittima istanza volta ad ampliare il consenso elettorale (basta che non sia voto di scambio …. tutto è legale … uno pò votà gli amici???!!!”), nell’ambito di una circoscrizione elettorale particolarmente ampia (“mica può venire li!!! Scusa … no perché la circoscrizione è grandissima …. è Abruzzo …. Campania …. la Calabria …. Puglia …. Basilicata ….. come cazzo fa? … èèè ….”), veniva perfettamente compreso da Campennì, il quale, avendo evidentemente ben inteso il vero senso della richiesta (“ah ste chiamate so legali??? …”), aderiva prontamente alla richiesta, non potendo evitare, tuttavia, di sottolineare la propria capacità di poter attingere a un ampio bacino di consensi pilotabili, facendo ricorso a una metafora particolarmente espressiva (“va bene …. allora …. è qua la famiglia è grande … un voto gli si dà”). Voti che se ci furono non portarono l’ex sindaco a sedere nel Parlamento europeo perché Fratelli d’Italia non superò la soglia di sbarramento, anche se Alemanno incassò 44.853 preferenze.
Non è la prima volta che emerge un filo rosso tra Alemanno e la Calabria. Nel 2011, il nome dell’allora sindaco di Roma ed ex ministro delle Politiche Agricole, emerse in una inchiesta della Dda di Milano. Dalle carte dell’indagine, in cui Alemanno non fu indagato, emerse di una serata organizzata al Cafe de Paris a Roma nella primavera del 2008, durante la quale gli venne presentato il presunto boss Giulio Lampada (recentemente scarcerato per motivi di salute). Un incontro elettorale come tanti che poteva essere un ”bacino” di voti aveva spiegato il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini. Agli atti c’era una telefonata nella quale Lampada, arrestato con altre otto persone (tra cui il fratello Francesco, il giudice Vincenzo Giglio, il consigliere della Calabria Francesco Morelli e l’ex gip d Palmi Giancarlo Giusti morto suicida), aveva raccontato che quella sera ”il ministro con il microfono in mano” aveva ringraziato ”il gruppo Lampada, noto industriale calabrese a Milano”. Il gip Giuseppe Gennari di Milano, però nell’ordinanza di custodia cautelare, aveva sottolineato di come Alemanno ”non avesse idea alcuna di chi fossero in realtà i Lampada”.