ROMA – “Spettava all’autorità giudiziaria stabilire che non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione all’udienza penale del 1* marzo 2010 l’impegno dell’imputato Presidente del Consiglio dei ministri” Silvio Berlusconi “di presiedere una riunione del Consiglio da lui stesso convocata per tale giorno”, che invece “egli aveva in precedenza indicato come utile per la sua partecipazione all’udienza”. Questa la decisione della Corte Costituzionale, che ha respinto il conflitto di attribuzione sollevato da Palazzo Chigi nei confronti del tribunale di Milano nell’ambito del processo Mediaset, nel quale l’ex premier Silvio Berlusconi è stato condannato per frode fiscale a quattro anni di reclusione e a cinque di interdizione dai pubblici uffici.
L’attesa per la decisione è stata scandita dalle dichiarazioni degli esponenti del Pdl. «Sulla Corte Costituzionale incrocio le dita perché se vedessi i numeri, le appartenenze e gli orientamenti dovrei essere pessimista», aveva avvertito il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (Pdl), considerando possibile, in caso di interdizione di Berlusconi dai pubblici uffici, «le dimissioni di tutti i parlamentari del Pdl». Pochi minuti dopo il verdetto, la nota durissima dei ministri Pdl: «Ci rechiamo immediatamente da Berlusconi. La decisione travolge ogni principio di leale collaborazione e sancisce la subalternità della politica all’ordine giudiziario».
Il Cavaliere, però, conferma il leale sostegno al governo: «Questo tentativo di eliminarmi dalla vita politica che dura ormai da vent’anni, e che non è mai riuscito attraverso il sistema democratico perché sono sempre stato legittimato dal voto popolare, non potrà in nessun modo indebolire o fiaccare il mio impegno politico per un Italia più giusta e più libera”