ROMA – La riforma elettorale, il Quirinale e l’addio di Sergio Cofferati. Matteo Renzi incontra i senatori della Pd aprendo una settimana chiave: quella in cui l’Italicum approda in Aula e quella in cui inizierà il dialogo tra i partiti sul dopo Napolitano. «La seconda lettura della legge elettorale in Senato dovrebbe essere quella definitiva», avverte il premier all’assemblea dei senatori dem. Noi possiamo discutere ancora della legge elettorale ma non accettiamo ricatti da parte di nessuno. Così il premier durante l’incontro. Il presidente del Consiglio – riferisce chi ha partecipato all’incontro – ha giudicato ingiuste e ingenerose alcune critiche arrivate dalla minoranza Pd sull’Italicum e ha ribadito che è arrivato il momento di chiudere. O si vota o ci teniamo il Consultellum, ha ripetuto. In particolare, rispondendo all’intervento di Migel Gotor, che aveva definito Renzi «il mio nemico preferito», ha incalzato: «Caro Gotor, le tue parole di oggi contro di me sono ingiuste e ingenerose. Non si può usare un gruppo minoritario come un partito nel partito».
In casa Pd la tensione resta alta. L’atteggiamento del premier sulla vicenda, assieme alla norma «salva Berlusconi» nel decreto fiscale e alla chiusura sulle riforme, peseranno «notevolmente sulla scelta del nuovo presidente della Repubblica», avvisava ieri Stefano Fassina. Un avvertimento che i renziani definiscono puramente strumentale da parte di chi agita continuamente il tema della fedeltà alla «ditta» e invece non mostra «nessuna responsabilità» in un momento cruciale per il Pd.
La minoranza dem alza la voce e sfida Renzi sulla votazione sulla riforma elettorale, da martedì al Senato. «Ora siamo ad un passaggio chiave», avrebbe detto il premier in apertura di riunione. La fronda dem terrà oggi una conferenza stampa dedicata proprio alla legge elettorale.
C’è poi il nodo Quirinale. In settimana la delegazione dem che Renzi si è affiancato nella ricerca di un’ampia convergenza sul Colle, dovrebbe iniziare gli incontri con gli altri partiti. Ma prima di sedersi al tavolo, Angelino Alfano e Silvio Berlusconi si vedranno per provare a riannodare, all’ombra del voto del prossimo capo dello Stato, i fili di un’unità del centrodestra che favorisca l’investitura di una personalità appartenente non alla sinistra di stampo comunista ma al campo dei «moderati». Un nome quanto più possibile giovane, aggiunge il leader di Ncd. E comunque «il meno distante possibile», auspica Maurizio Gasparri, dai moderati. Un identikit che secondo alcuni farebbe pensare al centrista Pier Ferdinando Casini.
La partita vera, spiegano dalla maggioranza Pd, deve ancora iniziare. Renzi ha annunciato che darà il nome del suo candidato non prima del 28 gennaio. Dunque, se restano più alte le chance di alcuni candidati rispetto ad altri (Giuliano Amato, Sergio Mattarella e Pier Carlo Padoan, i più quotati), nessuno è fuori dalla partita: da Piero Fassino a Walter Veltroni, da Anna Finocchiaro a Graziano Delrio. E anche l’appello a «collaborare» sulla legge elettorale rivolto ieri da Debora Serracchiani ai 5 Stelle, viene letto dalla minoranza dem come un buon viatico se si cercherà di riportare in partita un candidato come Romano Prodi, ufficialmente bocciato da Grillo.