ROMA – Giulio Regeni, il ricercatore trovato morto l’altra sera al Cairo, aveva contatti con il mondo dell’opposizione egiziana e si stava organizzando per intervistare alcuni attivisti sindacali prima di sparire, la sera del 25 gennaio, fra i vicoli della capitale.
È quanto rivelano alcune fonti locali che ricostruiscono quanto successo quella sera. Una pista che riporta direttamente al lavoro di studioso del 28enne friulano sulla Primavera araba e le condizioni di vita del Paese. Forse per questo e per le sue frequentazioni Regeni era «sorvegliato», dice una fonte egiziana. Giulio aveva infatti lavorato agli scioperi organizzati a Giza, seconda piazza antagonista insieme a Rabaa ai tempi della deposizione dell’ex presidente Morsi e dei sit-in in suo favore. Regeni era consapevole di essere ritenuto un soggetto «sensibile» e agli amici aveva espresso questo timore.
Ma cosa è accaduto il 25 gennaio, giorno del quinto anniversario della rivolta a Tahrir? Giulio – racconta un amico, Amr Assad – avrebbe dovuto partecipare a un compleanno al ristorante di Gad in Bab el Luk, fermata del metrò Mohamed Naguib. Chi lo aspettava non l’ha mai visto arrivare né è mai più riuscito a contattarlo al cellulare. Di certo si sa che il ragazzo si è mosso da Dokki, un quartiere medio borghese in cui abitava con tre coinquilini, diretto a Downtown, i dintorni di Tahrir, una zona che quel giorno era deserta perché imbottita di polizia e militari dispiegati per prevenire manifestazioni sgradite al governo.
Prima di andare alla festa, Giulio fa un salto a Giza dove era stata convocata una protesta (i social network rilanciano da ore la storia di uno straniero arrestato lì proprio quel giorno). Ed è qui che il mistero si infittisce. Fonti locali dicono che viene fermato da funzionari di polizia lungo la strada. È uno straniero, ossia una categoria allarmante per il nuovo Egitto che, come ai tempi di Mubarak, ha cominciato a espellere le Ong accusate di perseguire interessi internazionali. In più è in contatto con attivisti di orientamenti diversi.
Il giovane – prosegue la ricostruzione – viene portato in un commissariato di quelli già noti dai tempi di piazza Tahrir e interrogato senza guanti bianchi. L’epilogo, contrassegnato dai risultati dell’autopsia di ieri che rilevano abrasioni sul corpo e un colpo alla testa forse esiziale, è la morte. A quel punto il corpo viene portato sulla strada verso Alessandria, periferia 6 Ottobre, un sobborgo vicino alle prigioni egiziane ma anche noto per una componente islamista assai radicale.
«Giulio aveva paura, da settimane chiedeva di firmare i suoi articoli per il quotidiano il Manifesto con uno pseudonimo: non era un attivista ma uno studioso che si occupava del movimento operaio egiziano e delle rivendicazioni sindacali, un argomento rimasto nella zona grigia del “tollerato” dal regime fino alla morte dell’attivista Shaimaa Al-Sabbagh» dice Giuseppe Acconcia, ricercatore dell’università di Londra.
Al Cairo è battaglia fra «versioni» opposte. Se la polizia, tramite il direttore della sicurezza di Giza Khaled Shalaby, ha a lungo evocato «l’incidente automobilistico», la magistratura parla di «una morte lenta» e non esclude un coinvolgimento delle forze dell’ordine.
Molti i punti oscuri sui quali l’Italia, con il premier Renzi e il capo dello Stato Sergio Mattarella, esige chiarezza e fa la voce grossa chiedendo subito la restituzione del corpo, ottenendo il trasferimento all’ospedale italiano Umberto I, e l’accesso alle indagini: un team di uomini di Polizia e Carabinieri e Interpol è già al Cairo. Al Sisi dal canto suo, ha telefonato a Renzi riferendogli di aver ordinato al ministero dell’Interno e alla Procura generale di «perseguire ogni sforzo per togliere ogni ambiguità» e «svelare tutte le circostanze» della morte di Regeni, un caso al quale «le autorità egiziane attribuiscono un’estrema importanza. La procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio.
L’autopsia ha rivelato bruciature di sigaretta, ferite da coltello, contusioni su tutto il corpo del giovane, ritrovato nudo dalla cintola in giù, dice Ahmed Nagi, il procuratore che guida le indagini. Sui media si parla anche di ematomi effetto di pugni, ferite al naso e all’orecchio sinistro causate da uno «strumento affilato», come un rasoio o un coltello.