ROMA -Tutti si inchinano a “Re Giorgio”, incoronato per la seconda volta capo dello Stato tra gli applausi dell’emiciclo mentre i 5 stelle tacciono e fuori dalla Camera scatenano la piazza. Un bis per il capo dello Stato non è mai successo nella storia Repubblicana. Il Presidente è stato votato da Pd, Pdl, Scelta civica e Lega. Ad opporsi alla sua rielezione Sinistra e Libertà (con una mossa che sembra preludere il divorzio dal Pd) e il Movimento Cinque Stelle che si ritrovano uniti nel voto per Stefano Rodotà. Ma alla fine, Napolitano incassa 738 voti, mentre il costituzionalista con 217 preferenze, prende appena una decina di schede in più della somma di Sel e M5S.
«Potete immaginare come abbia accolto con animo grato la fiducia espressa liberamente sul mio nome dalla maggioranza dell’Assemblea», sono state le prime parole del presidente della Repubblica subito dopo aver ricevuto dai presidenti delle Camere il verbale della riavvenuta elezione al Quirinale. Nella breve cerimonia, presenti Pietro Grasso e Laura Boldrini, il presidente Napolitano, dopo aver rivolto loro il suo saluto e il suo omaggio ha affermato: «Hanno sperimentato la fatica e la tensione di presiedere l’assemblea, che già di per se altamente impegnativa, è risultata particolarmente tormentosa».
Napolitano ha quindi espresso gratitudine anche per la «fiducia con cui tanti cittadini hanno atteso la positiva conclusione della prova cruciale e difficile dell’elezione del presidente della Repubblica». Ha quindi ringraziato anche la stampa chiamata a raccontare con obiettività l’evolversi della situazione: «Lunedì dinnanzi alle Camere – ha fatto sapere – avrò modo di dire quali sono i termini entro i quali ho ritenuto di poter accogliere in assoluta limpidezza, l’appello rivoltomi ad accettare l’incarico, e come intendo attenermi rigorosamente all’esercizio delle mie funzioni istituzionali».
«Auspico fortemente – ha detto ancora il presidente Napolitano – che tutti sappiano onorare i propri doveri concorrendo al rafforzamento delle istituzioni repubblicane: Dobbiamo guardare tutti, come io ho cercato di fare in queste ore, alla situazione difficile del paese, ai problemi dell’Italia e degli italiani, al ruolo internazionale del nostro Paese».
La reazione di Beppe Grillo non si fa attendere ed è furiosa: chiama a raccolta a Roma «milioni» di cittadini per protestare contro quello che non esita a definire un «colpo di stato». Parole che attirano la reprimenda di tutti i partiti e costringono i presidenti delle Camere e persino Vendola a prendere una netta posizione critica che inducono l’ex comico a «frenare». Intanto da Torino a Milano vanno in scena presidi nelle piazze al grido di «ha di nuovo vinto il nano», «Rodotà presidente», «Basta inciuci».
La candidatura di Napolitano nasce in nottata, sulle ceneri del Pd, per superare l’impasse in cui il partito di Pier Luigi Bersani si è cacciato dopo aver bruciato i nomi di Marini e Prodi, entrambi impallinati dal fuoco amico dei franchi tiratori. Il segretario capisce che un nuovo candidato democrat andrebbe a sbattere. E anche un “papa straniero” non sopravviverebbe alle forche caudine di un partito balcanizzato. E così sale al Colle, implorando il capo dello Stato ad accettare di candidarsi per un “bis”. Ipotesi che anche Matteo Renzi, tornato a Firenze, benedice con un tweet. Poco dopo Bersani, a varcare il portone del Quirinale è Silvio Berlusconi, insieme a Gianni Letta ed Angelino Alfano. Il Cavaliere lo esorta ad accettare, sottolineando che solo il suo nome può tenere unito un Pd sull’orlo della frantumazione, ma con numeri tali in Parlamento da prolungare lo stallo.
Napolitano non scioglie subito la riserva, ma pone subito una condizione che, in estrema sintesi, suona così: se accetto, si fa quello che dico io. Anche Mario Monti sale al Colle. Il Professore, che fino a poco prima continuava a perorare la candidatura di Anna Maria Cancellieri, ritenendo in cuor suo la permanenza di Napolitano una «sconfitta della politica», capisce che non può perdere il “treno Napolitano”. Al premier seguono i governatori delle Regioni (tra loro il leghista Roberto Maroni che, insieme alla Lega, dà via libera alla rielezione), mentre al Colle arrivavano le calde sollecitazioni dalle forze sociali e dalla società civile.
Il presidente della Repubblica si prende qualche ora per riflettere. Oltre alla stanchezza, pesa il fatto di aver sempre sostenuto che il settennato è concepito per rimanere tale.
Alla fine Napolitano accetta, spiegando di non potersi «sottrarre a un’assunzione di responsabilità verso la Nazione», ma al contempo ammonendo: «Confido che corrisponda un’analoga collettiva assunzione di responsabilità». Parole dirette ai partiti, ai quali il capo dello Stato fa chiaramente capire di voler formare un governo il prima possibile. Circostanza non scontata: sulla carta i numeri ottenuti sembrano rassicuranti. Ma in tanti si chiedono se il Pd terrà alla prova di una fiducia in Aula ad un governo con il Cavaliere. Perché al di là delle formule (di scopo, del presidente, delle larghe intese) l’esecutivo che Napolitano ha in mente prevede la partecipazione di tutte le forze responsabili per fare le riforme necessarie al Paese. Quelle istituzionali ed economiche, sulla falsariga del lavoro dei ”saggi” da lui stesso nominati.
Il toto-premier è già cominciato: i nomi più gettonati sono quelli di Giuliano Amato (già considerato da Napolitano un ottimo candidato per il Colle) ed Enrico Letta. Ma nessuno si spinge a prevedere che grado di connotazione politica vorrà dare al “suo” governo. «Avrò modo di dire quali sono i termini con cui ho accolto l’appello ad assumere di nuovo la carica di presidente», si limita a dire Napolitano, che lunedì giurerà e pronuncerà il discorso di insediamento di fronte al Parlamento in seduta comune.