ROMA – Nel giro di 24 ore si è passati dal “Renzi congelato” al “Governo di responsabilità” e all’orizzonte già si scorge il Renzi-bis. Ma non si esclude un governo politico a guida Pd con un premier diverso dall’attuale. Alle nove della sera, infatti, uno dei papabili per un governo politico, Graziano Delrio, annunciava in tv: «Noi crediamo sull’esigenza e diamo la disponibilità per avere un governo di scopo che ci porti alle elezioni». Un ottovolante di ipotesi che ha trasformato in queste ore i corridoi del Senato e il Transatlantico in due porti di mare, con i parlamentari eccitatissimi che guardano ai segnali che arrivano dal “Castello” del principe ferito: palazzo Chigi.
Una giornata caotica, alimentata dall’inquietudine e dalla estrema mobilità di Renzi e al termine della quale restavano due scenari: un governo politico a guida Pd (Franceschini, Delrio) di “scopo” per fare la riforma elettorale, a scadenza, ma del quale il presidente del Consiglio non si fida, perché teme che possa durare più del necessario, rifiutandosi di lasciare il campo quando glielo chiedesse il leader del Pd; l’alternativa è un “Governo del presidente”, ispirato dal Quirinale, guidato dal presidente del Senato Pietro Grasso e che finirebbe per avere un orizzonte di legislatura. Più sullo sfondo un governo Padoan, che diventerebbe un imperativo se i mercati si scaldassero o se dovesse implodere la bomba Monte dei Paschi.
A palazzo Chigi un Matteo Renzi molto inquieto muove continuamente le sue pedine. “Politicamente correttissimo” nel discorso col quale ha preso atto del risultato del referendum, preannunciando le dimissioni, da due giorni Renzi sta sperimentando tutti gli espedienti che gli consentano di mantenere il ruolo di candidato-premier del Pd in vista delle prossime elezioni. Per 24 ore il presidente del Consiglio ha perseguito uno scenario allettante: mantenere “congelato” il suo governo dimissionario in attesa che la Corte Costituzionale decidesse il destino dell’Italicum.
La speranza di Renzi era che la Consulta decidesse «entro pochi giorni», visto che il giudizio era atteso per il 4 ottobre e che i giudici hanno già riflettuto a lungo sui profili di incostituzionalità della legge elettorale. La scommessa di Renzi, in base ai rumors, era quella di una sentenza “auto-applicativa”, un “taglia e cuci” giuridico che garantisse l’immediata applicabilità dell’Italicum “riformato”.
Una scorciatoia per andare ad elezioni anticipate a febbraio. Un piano che prevedeva il “ritiro” dalla maggioranza dell’Ncd di Angelino Alfano, grazie ad un accordo di massima per fare eleggere una dozzina di parlamentari nel prossimo Senato. Ma questo scenario si è inizialmente arenato per il malumore del Quirinale e poi definitivamente bruciato alle 16,20 di ieri pomeriggio: la Consulta ha diramato un comunicato col quale si annunciava che la prima udienza si terrà il 24 gennaio. Morale della storia: il Renzi congelato si è dissolto.
Il presidente del Consiglio, in privato, ha commentato con molta asprezza ma subito dopo si è messo a lavorare ad un nuovo scenario. A metà pomeriggio diceva nel suo studio di palazzo Chigi: «A questo punto una cosa è esclusa: che si faccia un nuovo governo nel quale il Pd diventi il bersaglio di tutti. Serve un governo di responsabilità, tutti ci devono mettere la faccia. Se gli altri, dai Cinque Stelle e Forza Italia, non ci stanno, si va dritti verso le elezioni anticipate». Una proposta per farsi dire di no e andare verso l’agognato scioglimento anticipato? Un sospetto generalizzato e infatti le bocciature sono fioccate nel giro di poche ore. In Transaltantico il segretario del Pd toscano Dario Parrini, renziano doc, sussurrava: «Se tutte le ipotesi saltano, magari se si richiede a Matteo, potrebbe accettare…».