RAGUSA – La situazione sull’omicidio del piccolo Loris è ancora del tutto incerta. La Polo nera di Veronica Panarello, la mamma di Loris, non ha mai raggiunto la mattina di sabato 29 novembre la scuola frequentata dal piccolo, come invece ha raccontato la donna. Le telecamere nei pressi della scuola, infatti, non registrano mai un’immagine della vettura nell’orario indicato dalla madre del bambino.
La circostanza emerge dall’analisi fatta dagli investigatori di polizia e carabinieri dei video installati dalle telecamere a Santa Croce Camerina. Veronica ha infatti raccontato di essere transitata da via Giacomo Matteotti, nei pressi della scuola elementare Falcone e Borsellino e di aver lasciato il figlio a poche decine di metri dall’ingresso. Ma tra le 8.30, l’orario in cui escono da casa la donna e i due figli e le 8.40 – l’orario in cui un’altra telecamera riprende l’auto nei pressi della ludoteca dove verrà lasciato il figlio più piccolo – non c’è traccia del passaggio della polo nera nelle immagini registrate dalla telecamera comunale all’incrocio tra via Matteotti e piazza Unità d’Italia. Un punto dove la donna ha sostenuto di essere passata.
Ci sarebbe un buco di 15 minuti nel racconto che Veronica Panarello ha fatto ad investigatori ed inquirenti. Dai video in possesso degli investigatori emergerebbe infatti che la donna esce di casa attorno alle 9.15-9.20 per raggiungere il castello di Donnafugata e partecipare al corso di cucina. Per raggiungere la tenuta si impiegano tra i 15 e i 20 minuti, ad un’andatura normale, come hanno verificato gli stessi investigatori. Veronica Panarello dovrebbe essere arrivata al corso, che cominciava alle 9.30, non più tardi delle 9.40. La mamma di Loris, stando invece alla testimonianza di un partecipante al corso, arriva alle 9.55. e quando arriva fornisce una giustificazione che investigatori e inquirenti definiscono «non richiesta»: «scusate il ritardo – avrebbe detto la donna – ho avuto dei problemi».
Tracce organiche, ora sottoposte a esame genetico, sarebbero state individuate sulle forbicine trovate nell’abitazione di Loris Stival, sequestrate dagli investigatori. Secondo quanto si apprende, il campione genetico sarebbe stato isolato con il luminol dagli esperti, che stanno ora eseguendo gli esami per stabilire a chi appartenga quella traccia.
Dai primi esami effettuati dalla Scientifica sarebbe una fascetta di quelle utilizzate dagli elettricisti, stretta attorno al collo, a causare la morte di Loris, la mattina di sabato scorso. E proprio questa fascetta, sempre secondo la Scientifica, sarebbe compatibile con quella che la mamma del bambino ha consegnato nel pomeriggio di lunedì scorso, assieme ad altro materiale scolastico che apparteneva al piccolo, alle sue due maestre. Per avere un riscontro definitivo occorreranno giorni.
Dove è stato ucciso, però, è ancora un mistero. A cinque giorni dal ritrovamento del cadavere del piccolo nel fosso di Mulino Vecchio a Santa Croce Camerina, emergono nuovi dettagli dall’inchiesta che cerca di dare un volto all’assassino del bimbo di 8 anni. L’elemento nuovo, che potrebbe fornire ulteriori spunti d’indagine per fare luce su quel che è accaduto, sarebbe emerso da una rilettura dei primi esiti dell’autopsia. La causa della morte resta infatti quella dell’ «asfissia da strangolamento» ma cambia il modo in cui è stata provocata: non più a mani nude, come avevano ipotizzato gli inquirenti e gli investigatori in un primo momento, ma appunto con un laccio di plastica.
Particolare inquietante: due giorni fa la maestra di Loris che era andata a casa Stival per porgere le condoglianze si è ritrovata in mano proprio delle fascette. La madre gliele stava «restituendo» con queste parole: «Le ridò le fascette che Loris ha usato per il compito di scienze». Il preside della scuola del bambini fa sapere che fascette del genere non sono mai state utilizzate in classe. «Secondo quanto mi hanno raccontato le maestre, la mamma di Loris quando sono andate a trovarla per farle le condoglianze ha consegnato loro delle fascette per farle vedere perché avrebbero fatto parte di un lavoro non concluso a scuola», dice la preside della Falcone-Borsellino di Santa Croce Camerina, Giovanna Campo. E aggiunge: «Sono oggetti pericolosi e nessuno ne ha portate in aula, se non di nascosto».