
ROMA – Per un giorno Papa Francesco veste gli abiti del capo di Stato spogliandoli, però, dei loro risvolti cerimoniosi. Il Papa che ha preso il nome dal santo patrono d’Italia visita quella che il suo predecessore, Benedetto XVI, ha definito “la casa degli italiani”. Jorge Mario Bergoglio, soprattutto, il Pontefice argentino con nonni italiani, si reca al Quirinale per “idealmente bussare alla porta di ogni abitante di questo Paese” e offrire loro non una visione politica, non un saggio sui rapporti tra Stato e Chiesa, ma – spiega – “la parola risanatrice e sempre nuova del Vangelo”.
Papa Bergoglio arriva poco prima delle 11 al Colle con il suo stile ormai inconfondibile. Viaggia su una Ford Focus blu, ha accanto, nel sedile posteriore, non un segretario o un cardinale ma l’assistente di camera Sandro Mariotti, meglio noto in Vaticano come Sandrone. Monsignori e porporati lo hanno preceduto pochi minuti prima e tra i saloni del Quirinale seguono Bergoglio a distanza. Il corteo di cinque auto che viaggia con lui attraversa la capitale – corso Vittorio Emanuele, Torre Argentina, piazza Venezia, via IV novembre – senza sirene spiegate, senza fermare il traffico, senza scorta di corazzieri a cavallo. Al ritorno, poco prima dell’una, percorso inverso, saluta i fedeli dal finestrino abbassato. Lungo il percorso qualche turista, attratto dalle telecamere, si accorge del Papa e, dai pulman rossi dei tour guidati, lo saluta con sguardo stupito. Il motto del Papa, del resto, è noto: “Bisogna essere normali. La vita è normale”.
E anche il rapporto tra le due sponde del Tevere non potrebbe essere più normale. Tra il Palazzo apostolico e i palazzi romani della politica non ci sono, a differenza del passato, né tensioni né poste in gioco particolari. Non perché i rapporti, anche personali, non siano cordiali, anzi. Il feeling umano è buono e non mancano convergenze ideali. Ma tanto il Capo dello Stato italiano quanto il Romano pontefice devono affrontare, ognuno, complicate situazioni interne di governo. I buoni rapporti reciproci, insomma, non emergono in primo piano, nel corso della mattinata al Colle, perché non sono in discussione. La visita dura due ore e fila via liscia: inni e picchetto nel cortile d’onore, colloquio privato di 35 minuti tra Bergoglio e Napolitano nello studio alla Vetrata, scambio dei doni nel salone degli Arazzi, breve incontro con i presidenti di Camera (Boldrini), Senato (Grasso) e Corte costituzionale (Silvestri) nella sala delle Fabbriche di Paolo V. Alla fine della visita il Papa incontra i dipendenti del Quirinale e i loro bambini e, prima concentrato e a tratti corrucciato, torna a sorridere come quando si immerge nella folla di fedeli a piazza San Pietro. Ma prima, dopo una breve preghiera (del Papa) nella cappella dell’Annunziata, ci sono i discorsi ufficiali nel salone delle Feste.
Napolitano, che parla per primo, è in sintonia con lo stile del nuovo Papa quando sottolinea che nel Quirinale vive “Santità, una storia che Ella porta dentro di sé, per non aver mai perso l’impronta della terra d’origine della Sua famiglia, nella quale è stato chiamato ‘quasi dalla fine del mondo’ per guidare la Chiesa dal Soglio di Pietro”. Napolitano auspica che “la solennità formale” della cerimonia non appanni “l’espressione dei genuini sentimenti di vicinanza e di affetto che la Sua figura, il Suo modo di rivolgersi a tutti noi, il Suo impegno pastorale, hanno suscitato nell’animo nostro fin dai primi momenti del Suo pontificato”.
Il Capo dello Stato si sofferma a lungo sulle idee del Pontefice, con numerose e ripetute citazioni dell’intervista – mai menzionata espressamente – che Bergoglio ha concesso al gesuita Antonio Spadaro per la Civiltà cattolica, quasi una mappatura del pontificato. Di fronte al Papa argentino sottolinea “il ruolo dell’Europa”. Poi – riecheggiando anche qui le parole pronunciate dal Papa contro la “corruzione” – parla di politica italiana e spiega di ritenere che “la politica possa, Santità, trarre uno stimolo nuovo dal Suo messaggio e dalle Sue parole”. Il Papa si alza e i microfoni carpiscono il suo ringraziamento a Napolitano: “Grazie per la generosità”. L’Osservatore Romano elogia, in un corsivo del direttore Giovanni Maria Vian, il discorso “dai toni alti e autentici”.
Il Papa, in un discorso piano, presenta la sua visita come “un segno di amicizia”. Menziona, tra le tante “questioni di fronte alle quali le nostre preoccupazioni sono comuni e le risposte possono essere convergenti”, la disoccupazione, e definisce “necessario moltiplicare gli sforzi per alleviarne le conseguenze e per cogliere ed irrobustire ogni segno di ripresa”. Ricorda le “ferite” che affliggono tanta gente che ha incontrato nei suoi viaggi in Italia (Lampedusa, Cagliari, Assisi). “Al centro delle speranze e delle difficoltà sociali, c’è la famiglia”, sottolinea, e “mentre mette a disposizione della società le sue energie, essa chiede di essere apprezzata, valorizzata e tutelata”. Non manca un accenno personale: “Rendendole visita in questo luogo così carico di simboli e di storia, vorrei idealmente bussare alla porta di ogni abitante di questo Paese, dove si trovano le radici della mia famiglia terrena, e offrire a tutti la parola risanatrice e sempre nuova del Vangelo”.