ROMA – Enrico Letta è riapparso in tv: chiacchierando di politica con Fabio Fazio, ha annunciato la decisione inattesa di dimettersi dal Parlamento per guidare scuola di affari internazionali dell’università di Parigi», ma l’annuncio non va inteso come un ritiro dalla politica. Semmai, il contrario: il primo tempo di un rilancio. La piattaforma del Letta politica del futuro è contenuta nel libro “Andare insieme, andare lontano” (edito da Mondadori) che uscirà domani, del quale “La Stampa” è in grado di anticipare le parti essenziali e nel quale Letta propone un punto di vista politico (e antropologico) molto diverso da quello di Matteo Renzi.
Vi si legge tra l’altro: «Poche cose possono far male alla politica come inseguire solo il cosiddetto sentiment di Internet. Con il “lo vuole la gente”, senza argomentazioni solide a supporto, si sono commesse le peggiore nefandezze, da Gesù e Barabba in poi». E ancora: «Non puoi affidarti alla logica pokeristica del rilancio continuo – oggi una promessa, domani un’altra – perché alla fine il bluff viene scoperto», «constato che i cento giorni con cui l’attuale governo avrebbe dovuto rivoluzionare il Paese sono diventati mille», «spesso la priorità sembra «fare, per dire di aver fatto» piuttosto che fare bene».
Un anno fa, Letta era uscito di scena bruscamente per effetto del blitz di Matteo Renzi, autore qualche tempo prima dell’ormai celeberrimo hastag, «Enrico stai sereno». Di quella frattura personale e politica, da allora, è rimasta l’ultima immagine pubblica, quella che risale al 22 febbraio 2014, quando il presidente del Consiglio uscente consegnò a quello entrante la campanella di palazzo Chigi e subito dopo si congedò bruscamente, esibendo il proprio risentimento. Per un personaggio posato come Letta un’uscita irrituale, che resta, ma che in questi mesi ha alimentato la curiosità di sapere come la pensasse l’ex premier su tutto ciò che è seguito.
Enrico Letta lo ha scritto nelle 132 pagine del suo libro, qualcosa che sta a metà tra il saggio politico, il pamphlet e un excursus autobiografico. Resterà deluso chi cercherà dettagli cruenti sulla “presa del potere” di Renzi. Letta scrive che un «governo votato dal Parlamento è legittimo», ma per omissione di polemica, sgombra il campo dall’ipotesi del “golpe”, anche perché allora fu tutto il Pd, compresa l’area post-comunista oggi “pentita”, a lasciarlo e a sposare Renzi.
Ma in compenso Letta esprime un giudizio severo sul renzismo: «Eletto segretario del Pd, Renzi ha restituito un ruolo a Berlusconi, dopo che era stato reso marginale». Sulla volontà renziana di farlo fuori, Letta è chiaro: «In dieci mesi del mio governo ho vissuto nella sensazione di un assedio continuo, che convergeva su un unico obiettivo: far cadere il governo. Prima Grillo, poi Berlusconi, infine Renzi». Pochissimo spazio (come Prodi nel suo recente libro-intervista) all’autocritica e alle realizzazioni dell’attuale governo, ignorato l’infarto politico-culturale dei post-comunisti, Letta è invece analitico sulla superficialità dell’esecutivo: «In concreto l’operazione si è tradotta soprattutto in una sostituzione di gruppi dirigenti e e in un quadro politico, prima plurale e oggi dominato da una persona sola».