TERAMO – Va confermata la condanna a trenta anni di reclusione inflitta all’ex caporal maggiore dell’Esercito, Salvatore Parolisi, accusato dell’omicidio della moglie Melania Rea. E’ quanto ha chiesto il sostituto pg di Cassazione, Maria Giuseppina Fodaroni, ai giudici della prima sezione penale della Suprema Corte, chiamati a decidere se accogliere o meno il ricorso dell’imputato contro la sentenza emessa il 30 settembre 2013 dalla Corte d’assise d’appello dell’Aquila.
Parolisi e’ l’unico imputato per l’omicidio della moglie, avvenuto nel boschetto delle Casermette, a Ripe di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo, il 18 aprile del 2011: il corpo della donna venne ritrovato due giorni dopo la sua scomparsa, grazie ad una telefonata anonima alla polizia in cui si annunciava il ritrovamento di un cadavere seminudo e vilipeso.
Un omicidio commesso “per dolo d’impeto”, con una “esplosione di inaudita violenza e ferocia nei confronti di una persona inerme, aggredita alle spalle”. Cosi’ il sostituto pg di Cassazione, Maria Giuseppina Fodaroni, ha ricostruito l’assassinio di Melania Rea: “Ben 35 coltellate – ha detto il pg, chiedendo la conferma della condanna a 30 anni per Parolisi – con un numero molto consistente di colpi da dietro, la vittima inseguita, sopraffatta, che riceve una serie di coltellate ancora mentre si trova gia’ a terra”. Questa “inaudita violenza – ha rilevato il magistrato – palesa la volonta’ di uccidere e di infierire: la donna viene lasciata morire dissanguata, in un luogo in cui, nelle immediate vicinanze, si trovava la bambina, loro figlia”. Il pg della Suprema Corte, dunque, ha osservato che la sentenza d’appello ha composto “correttamente un mosaico indiziario” che “porta univocamente a Parolisi” il quale “si era infilato in un imbuto” tra la moglie e l’amante “da cui era difficile uscire”.
Le condotte dell’imputato all’epoca del fatto, secondo il pg, non fanno che “essere espressive del suo coinvolgimento”: prima “ha solo un’ora dall’allontanamento della moglie – ha sottolineato il magistrato – afferma ‘me l’hanno ammazzata’, poi, man mano che la donna non si trova, Parolisi si calma. Nei giorni successivi “fara’ di tutto per evitare che i colleghi esperti di quella zona facciano ricerche e quando il cadavere viene ritrovato, egli mostra di sapere esattamente il punto, dicendo che gli sarebbe stato mostrato in foto da un amico che, pero’, non aveva mai scattato la foto”.
Valenza indiziaria “significativa”, per il sostituto pg, ha anche “il fallimento dell’alibi dell’imputato” e il vilipendio di cadavere, sul quale vennero incise una svastica e una gabbia, e’ stata “un’operazione di depistaggio che solo il responsabile del delitto poteva fare”. Fodaroni, infine, ha ritenuto corretto anche il riconoscimento delle aggravanti della crudelta’ e della minorata difesa.