ROMA – La sostituzione del “dissidente” Corradino Mineo in Commissione Affari costituzionali del Senato non è piaciuta a molti piddini, compresi i 13 senatori della minoranza che stamattina nell’Aula di Palazzo Madama hanno annunciato l’autosospensione dal gruppo: una minaccia di non votare le riforme che metterebbe a rischio la solidità della maggioranza in Senato. Il governo però non cede e tira dritto. Tant’è che Matteo Renzi intende far pronunciare sabato l’Assemblea nazionale del partito, dove almeno il 68% dei delegati fa capo a lui.
Stamani, annunciando in aula l’autosospensione dal gruppo propria e degli altri colleghi, Paolo Corsini ha parlato di «epurazione» di Mineo, per la sua esclusione dalla commissione decisa mercoledì dal capogruppo Luigi Zanda. Secondo Corsini e Felice Casson è stata violata la Costituzione che esclude il cosiddetto vincolo di mandato e assicura la libertà di coscienza ai parlamentari. Tesi respinta da Zanda e dal ministro Maria Elena Boschi che ha ricordato i principi del diritto parlamentare: «Chi viene eletto in Parlamento, non viene eletto in una Commissione; è il gruppo che sceglie chi rappresenterà le proprie posizioni in Commissione ed è il gruppo a decidere la sostituzione del senatore che non rappresenta più le posizioni del gruppo». Poi in Aula il senatore è libero di votare come crede. «I cittadini italiani vogliono le riforme – ha detto Boschi – e lo dimostra il 40,1% preso alle europee; non ci faremo fermare dai veti di 13 senatori».
Comunque ai 13 della mattina (oltre a Corsini, Casson e Mineo, anche Chiti, D’Adda, Dirindin, Gatti, Lo Giudice, Micheloni, Mucchetti, Ricchiuti, Tocci, Turano), si è poi aggiunto Francesco Giacobbe, senatore eletto in Australia. Martedì ci sarà un’Assemblea del gruppo, la sesta, dopo che nelle precedenti il gruppo del Pd si era sempre espresso a favore del testo del governo. Zanda ha pure chiesto ai 14 un incontro che dovrebbe tenersi prima dell’Assemblea. L’unica cosa certa è che Mineo non verrà reintegrato in Commissione. La minaccia dei 14 di non votare le riforme, complica un po’ le strategie del governo che sperava nella compattezza della maggioranza per trattare da una posizione di forza con Forza Italia in vista dell’incontro Renzi-Berlusconi. Se i 14 vanno avanti Fi diventa determinante in Aula. E infatti Giovanni Toti ha alzato la posta sollecitando un «progetto davvero concordato».
Oggi il presidente Giorgio Napolitano, incrociando alla Camera il ministro Boschi e, probabilmente, ha voluto avere ragguagli sull’andamento delle riforme. Interpellata su come si possa ricucire, Boschi ha detto che il problema è dei 14: «nessuno gli ha chiesto di autosospendersi». Il braccio di ferro, ha spiegato il renziano Andrea Marcucci, inizierà all’Assemblea nazionale di sabato: ai 1.000 delegati che rappresentano la base del Pd verrà chiesto di pronunciarsi. E visto che l’Assemblea riflette i risultati delle primarie, dove Renzi ottenne il 68%, i 14 incendiari rischiano di rimanere bruciati. «Sulle riforme non lasciamo il diritto di veto a nessuno – ha detto Renzi dalla Cina – anche perché non ho preso il 41% per lasciare il futuro del Paese a Mineo».