ROMA -Luigi Di Maio avverte: “Ci sono tante cose da fare, sulle quali mi valuterete. Sicuramente qualcuno si lamenterà”, avverte il leader M5S dalla Sicilia. Ad attendere il suo ritorno al super-ministero del Lavoro e dello Sviluppo economico, infatti, Di Maio troverà la questione pensioni e l’impegnativa promessa di superare la legge Fornero, messa nero su bianco nel contratto di governo giallo-verde. Una sfida, questa, che si sta rivelando più complessa del previsto.
Di Maio vorrebbe dare alla luce il provvedimento al rientro dalle ferie estive, per inserirlo nella manovra di bilancio. Cuore di questo lavoro è l’introduzione della «quota 100» e dei 41 anni di contributi per ottenere la pensione, con l’ipotesi di ricorrere ai fondi di solidarietà. In breve, la «quota 100» si raggiunge con la somma di 36 anni di contributi e almeno 64 anni di anzianità. Se invece si hanno 41 anni di contributi versati, la soglia minima di età per andare in pensione non viene considerata.
Tutto questo, come da contratto, verrebbe portato avanti «tenuto conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti». Il riferimento è all’Ape sociale, che permette di andare in pensione a 63 o addirittura a 62 anni, e che quindi non dovrebbe essere toccata. Qui, però, sorge un primo problema, perché l’estensore del capitolo pensioni del programma gialloverde di governo, il professor Alberto Brambilla, è molto chiaro: «Per trovare le coperture necessarie alla quota 100 e ai 41 anni di contributi, l’Ape sociale andrebbe eliminata e, con essa, il concetto di “lavori gravosi”, che non esiste in natura. Poi, è evidente, deciderà Di Maio».
Per il capo politico del Movimento, il nodo è anche politico: come si fa a dire a 15 categorie di lavoratori che dovranno andare in pensione uno o due anni più tardi, peggiorando la loro condizione rispetto al passato governo Pd? «Rischia di essere una Fornero bis», mette in guardia il professore Cesare Damiano, l’uomo dei dem che introdusse il sistema delle quote. E che infatti si dice «fautore della quota 100. Per questo consiglio a Di Maio di integrare le due misure, rendendo strutturale l’Ape sociale». A questa soluzione si contrappone la formula di Brambilla, che punta invece a spostare dalle casse dello Stato a quelle delle imprese l’onere da sborsare per mandare in pensione prima del tempo i propri dipendenti. L’esempio classico, e in funzione da anni, è quello utilizzato nel settore bancario per gestire gli esuberi; secondo Brambilla, bisognerebbe estendere ad altri settori lo stesso meccanismo.
Così, sorge il secondo problema del leader del Movimento 5 Stelle: dove trovare le coperture finanziarie necessarie. Già, perché quelle indicate dal contratto, pari a cinque miliardi l’anno, sono state calcolate proprio dal professor Brambilla. L’Inps, invece, per la stessa operazione stima una spesa che si aggirerebbe intorno ai 15 miliardi.