MILANO – Senza “l’apporto” di Silvio Berlusconi “in termini di concorso morale, non si sarebbe realizzata la pubblicazione» della intercettazione telefonica tra Piero Fassino e Giovanni Consorte (“Abbiamo una banca”), durante la tentata scalata di Unipol a Bnl nel 2005. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza del tribunale di Milano, che ha condannato Berlusconi a un anno di reclusione per il reato di concorso in rivelazione del segreto d’ufficio. In particolare, per il collegio giudicante, è stato fondamentale la valutazione della posizione del Cavaliere: “la sua qualità di capo della parte politica avversa a quella di Fassino – si legge nel testo -, rende logicamente necessario il suo benestare alla pubblicazione della famosa telefonata, non potendosi ritenere che, senza il suo assenso, quella telefonata, che era stata fatta peraltro ascoltare a casa sua, fosse poi pubblicata” sul quotidiano “Il Giornale”.
A Berlusconi non sono state riconosciute le attenuanti generiche nel processo sulla pubblicazione della telefonata Fassino-Consorte (“Abbiamo una banca”) «tenuto conto della qualità di pubblico ufficiale» dell’ex premier e «della lesività della condotta nei confronti della Pubblica amministrazione, gravemente danneggiata dalla plateale violazione del dovere di fedeltà dell’incaricato di pubblico servizio», ovvero Roberto Raffaelli, il titolare della società che aveva incarico di effettuare le intercettazioni telefoniche da parte della procura di Milano. Inoltre, i giudici hanno tenuto conto anche della «gravità del reato» e del fatto che c’è “insufficienza della condizione di incensuratezza dell’imputato, peraltro gravato da altre condanne, sia pur non definitive”.