ROMA – Nove mesi di reclusione per la violazione dei sigilli della baita No Tav. Questa la condanna per il leader M5S Beppe Grillo chiesta oggi dai pm di Torino Andrea Padalino e Antonio Rinaudo nel processo in cui sono imputati anche 20 attivisti No Tav. I magistrati hanno chiesto una condanna identica per il leader Alberto Perino, e l’assoluzione per cinque militanti. Per gli altri le pene richieste sono comprese tra i 6 mesi e un anno e mezzo di carcere e multe tra i 150 e i 900 euro. L’episodio risale al 2010 quando Grillo insieme a un gruppo di attivisti No Tav ruppero i sigilli della cosiddetta “Baita Clarea”, presidio considerato abusivo dalla magistratura simbolo dela protesta No Tav, oggi inglobato all’interno del cantiere per il tunnel Alta velocità.
Ma non solo a Torino che le azioni di Beppe Grillo sono sotto la lente della magistratura. Il blogger potrebbe infatti finire sotto indagine a Genova per il reato di «Istigazione di militari a disobbedire alle leggi», disciplinato dall’articolo 266 del Codice penale che prevede pene da 1 a 3 anni e, se il reato è commesso in pubblico, pene da 2 a 5 anni. La procura genovese sta infatti valuntando l’apertura di un fascicolo in seguito ad uno esposto del parlamentare e coordinatore dei giovani Pd Fausto Raciti, che stigmatizzava una lettera aperta di Grillo indirizzata ai vertici di Polizia, Esercito e Carabinieri con la richiesta di non schierarsi a protezione della classe politica italiana. Il procuratore capo Michele Di Lecce spiega che su Grillo al momento «sono arrivate delle segnalazioni, fascicoli da altre procure che stiamo valutando. Al momento quindi non è indagato: ci vorrà qualche giorno per esaminare i fascicoli. In esito alla valutazione decideremo se iscriverlo o fare delle attività di indagine, tutto quello che normalmente si fa».
Per Raciti, la lettera di Grillo prefigura un’istigazione alla disobbedienza e quindi un reato. La lettera aperta risale al 10 dicembre scorso e segue le manifestazioni dei Forconi durante la quale alcuni agenti addetti all’ordine pubblico si sfilarono i caschi a Torino, Genova e Milano per qualla che molti indicarono come un gesto di solidarietà con i manifestanti. «Alcuni agenti di Polizia e della Guardia di finanza a Torino si sono tolti il casco – scrisse Grillo – si sono fatti riconoscere, hanno guardato negli occhi i loro fratelli. È stato un grande gesto e spero che per loro non vi siano conseguenze disciplinari».
Nella lettera, indirizzata a Leonardo Gallittelli, comandante dei Carabinieri, Alessandro Pansa, capo della Polizia e Claudio Graziano, capo di stato maggiore dell’Esercito, Grillo chiedeva «di non proteggere più questa classe politica che ha portato l’Italia allo sfacelo, di non scortarli con le loro macchine blu o al supermercato, di non schierarsi davanti ai palazzi del potere infangati dalla corruzione e dal malaffare. Le forze dell’ordine non meritano un ruolo così degradante. Gli italiani sono dalla vostra parte, unitevi a loro. Nelle prossime manifestazioni ordinate ai vostri ragazzi di togliersi il casco e di fraternizzare con i cittadini. Sarà un segnale rivoluzionario, pacifico, estremo e l’Italia cambierà. In alto i cuori».
Raciti denunciò Grillo ai carabinieri di Roma, l’esposto fu trasferito alla procura di Roma e quindi indirizzato a Genova. L’articolo 266 del Codice penale prevede che «chiunque istiga i militari a disobbedire alle leggi o a violare il giuramento dato o i doveri della disciplina militare o altri doveri inerenti al proprio stato, ovvero fa a militari l’apologia di fatti contrari alle leggi, al giuramento, alla disciplina o ad altri doveri militari, è punito, per ciò solo, se il fatto non costituisce un più grave delitto, con la reclusione da uno a tre anni».