ROMA – Non lo ha detto ma lo ha fatto capire in tutti i modi Matteo Salvini che è ormai lui il leader del centrodestra, nonostante a Palazzo Grazioli il padrone di casa si chiami Silvio Berlusconi. E di solito, in passato, è sempre stato lui a comandare. Ieri invece si è realizzata la svolta: il leader della Lega ha ottenuto di rappresentare il centrodestra nella trattativa per le presidenze di Camera e Senato. Già domani prenderà contatto con il reggente del Pd Martina e il leader M5S Di Maio.
“Berlusconi non ha espresso un no pregiudiziale nei confronti del M5S”, ha raccontato Matteo dopo l’incontro. Un altro obiettivo centrato da Salvini è che tutta la coalizione andrà insieme al Quirinale per le consultazioni. Anche se da parte dei Fratelli d’Italia c’è un’altra versione: deciderà Mattarella se incontrare la coalizione o i singoli partiti.
Rimane il dato di fondo che il centrodestra chiederà al Presidente della Repubblica di conferire a Salvini l’incarico a formare un governo. La condizione che hanno posto Berlusconi e Meloni è che ci sia da parte del capo leghista una chiarezza di intenti. «Devi deciderti – ha detto la leader di Fratelli d’Italia a Matteo – o fai il capo della Lega o della coalizione. Se dici che le presidenze di Camera e Senato vanno divise tra Lega e 5 Stelle, allora fai il capo del tuo partito e non ci rappresenti tutti», ha osservato la Meloni. La quale ha poi tirato fuori una proposta sulla presidenza di Palazzo Madama: «Matteo perché non fai tu il presidente del Senato?». In questo modo, ricoprendo la seconda carica dello Stato, sarebbe più facile per Mattarella conferirgli un incarico esplorativo per formare il governo. Berlusconi sarebbe d’accordo con questa ipotesi, ma Salvini ha preso tempo per decidere. Dopo l’incontro ha però detto che non è interessato: «Rimango candidato premier».
Matteo si era presentato al vertice con una serie di cannonate sparate in mattinata da Strasburgo. «Se serve, ignoreremo il tetto deficit/Pil del 3%». Toni duri che hanno irritato l’ex Cavaliere che aveva garantito personalmente alle cancellerie europee una guida moderata del centrodestra. Al punto da far osservare sarcasticamente ad alcuni collaboratori dell’ex premier che al confronto il discorso di Di Maio alla stampa estera sembrava quello di «uno statista europeo».
Poi ci sono le parole sul governo in Italia a mettere su un binario morto la possibilità di attrarre il Pd. «Mai nella vita governerò con Renzi o con Gentiloni o quelli che hanno distrutto il Paese», è stato l’avvertimento di Salvini. Così, si sono seduti attorno a un tavolo nel peggiore dei modi. Poi alla fine una strada comune l’hanno trovata nel farsi rappresentare da Salvini nelle trattative ma ognuno rimane diffidente nei confronti degli altri.
Berlusconi, che ieri aveva accanto Licia Ronzulli e Niccolò Ghedini (assenza significativa di Gianni Letta), ha provato a smussare gli angoli. Ha detto che senza dubbio farà proporre al Quirinale Salvini come premier, magari per un incarico esplorativo e cercare nelle aule dei «volenterosi». «Il problema – ha detto La Russa – è che mancano i volenterosi». Allora si è passato al piano B: provare a smuovere il Pd senza l’indicazione di Salvini come premier. Piano presto accantonato perché l’interessato non si vuole mettere da parte. Si è escluso da parte di tutti l’ipotesi di un accordo con i 5 Stelle e alla fine si è planati sul peggiore dei piani, quello D ovvero una sorta di governo di scopo sostenuto da tutte le forze politiche e parlamentari che porti di nuovo al voto con un’altra legge elettorale.
Berlusconi ha spiegato che questa potrebbe essere una soluzione, l’ultima spiaggia, ma che in ogni caso occorre rispondere all’appello di Mattarella alla responsabilità. «Non si può immaginare – ha osservato l’ex Cavaliere – di richiamare gli italiani alle urne tra sei mesi o un anno. Rischiamo di essere travolti dai 5 Stelle». L’unico punto di incontro alla fine, senza convinzione, è stato di provare a trovare una maggioranza in Parlamento. In sostanza quello che Salvini aveva detto a Strasburgo: «Governiamo se siamo in condizioni di attuare il nostro programma», «raccogliendo adesioni da altri parlamentari che si impegnino per iscritto sul programma».