PESCARA – La raccomandazione non è un reato, se proviene da qualcuno che è esterno all’azienda o ufficio pubblico in questione. Lo si evince da una sentenza della Cassazione riguardante un ricorso del pm contro l’ex sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso, che era stato prosciolto dal gup dall’accusa di concussione. L’ex primo cittadino era accusato di aver, “abusando della sua qualità di sindaco di Pescara” indotto un uomo e una donna “a promettergli e regalargli un computer portatile per il suo interessamento presso il direttore generale della Asl di Chieti al trasferimento” della suddetta donna, “medico alle dipendenze della Asl di Pescara” alla sede di Chieti.
La sesta sezione penale della Suprema Corte, con la sentenza n.38762, ha rigettato il ricorso del pm di Pescara, secondo il quale tale condotta integrava addirittura il reato di “corruzione impropria” . “Il delitto di corruzione – scrivono i supremi giudici – richiede che l’atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientri nella competenza o nella sfera di influenza dell’ufficio al quale appartiene l’ipotetico soggetto corrotto, nel senso che occorre che sia espressione, diretta o indiretta, della pubblica funzione esercitata dal medesimo”.
Un requisito, questo, “non ravvisabile nel pubblico ufficiale che non implichi l’esercizio di poteri istituzionali propri del suo ufficio – si legge nella sentenza – e non sia in qualche maniera a questi ricollegabile, ma sia diretto ad incidere nella sfera di attribuzione di un pubblico ufficiale terzo, rispetto al quale il soggetto agente è assolutamente carente di potere funzionale”. La raccomandazione, quindi, “è condotta che esula dalla nozione di atto d’ufficio”, osservano gli ‘ermellini’: “trattasi di condotta commessa in occasione dell’ufficio e non concreta, pertanto, l’uso dei poteri funzionali connessi alla qualifica soggettiva dell’agente”.