ROMA – Sulla morte di Giulio Regeni “ci fermeremo solo quando troveremo la verità, quella vera e non di comodo”. Lo ha ribadito il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni in aula al Senato (con replica alla Camera nel pomeriggio), durante la prevista informativa sul caso del ricercatore italiano sequestrato al Cairo il 25 gennaio e ritrovato morto il 3 febbraio.
Il ministro ha fatto il punto della difficile ricerca della verità alla vigilia dell’arrivo in Italia della delegazione di investigatori egiziani da cui gli inquirenti italiani si attendono un dossier contenente “tutto” il materiale raccolto nelle indagini svolte sin qui al Cairo. Incontro, ha affermato Gentiloni, che “potrebbe essere decisivo” per lo sviluppo delle indagini. Se così non fosse l’Italia è pronta ad adottare “misure tempestive e proporzionate” contro l’Egitto.
Parole che complicano la “situazione”, lamenta più tardi una nota del ministero degli Esteri egiziano. “Visti i forti legami storici tra i popoli e i governi dei due Paesi e che gli ultimi avvenimenti testimoniano il coordinamento nelle indagini sulla morte di Regeni, l’Egitto si astiene dal commentare il discorso del ministro Gentiloni – si legge nel comunicato firmato dal portavoce Ahmed Abu Zeid -. Il discorso e le osservazioni di Gentiloni complicano ulteriormente la situazione alla vigilia dell’arrivo della squadra di pubblici ministeri e di alti funzionari egiziani a Roma per condividere con gli inquirenti italiani gli ultimi sviluppi nelle indagini”.
Salvo “complicazioni”, possibili dopo la nota del ministero del Cairo, la delegazione egiziana è attesa a Roma nella serata di mercoledì, la riunione con i magistrati italiani e gli investigatori di Ros e Sco comincerà il giorno dopo intorno alle 10 in una struttura della Polizia di Stato. Intanto, a piazzale Clodio, questa mattina, il pm Sergio Colaiocco ha tenuto una lunga riunione per definire gli ultimi dettagli tecnico-organizzativi dell’incontro.
“Oggi in Parlamento – le parole del titolare della Farnesina – voglio dire, perché non ci siano dubbi, che se un cambio di marcia non ci sarà il governo è pronto a regire adottando misure appropriate e proporzionate di cui il Parlamento sarà informato. La ragione di Stato in un caso come questo ci impone di difendere fino in fondo e di fronte a chiunque la memoria di Giulio Regeni, sul cui volto la madre ha detto di aver visto tutto il male del mondo. E’ per la ragione di Stato che non ci rassegneremo all’oblio di questa vicenda e non permetteremo che sia calpestata la dignità del nostro Paese”.
L’informativa del ministro in Senato era originariamente prevista per le ore 16, perché era nella mattinata di questo martedì 5 aprile che avrebbe dovuto tenersi il faccia a faccia tra inquirenti italiani ed egiziani a Roma. Poi si sono succeduti nuovi giorni carichi di ambiguità, annunci e smentite, persino voci di un rinvio a data da destinarsi da parte del Cairo. Infine, la conferma dell’arrivo in Italia della delegazione egiziana mercoledì 6 aprile, anche dalla Procura generale del Cairo. La rappresentanza, si legge in una nota citata dal giornale El-Watan, sarà composta da membri della stessa procura e della polizia e sarà guidata dal giudice Soleiman. Il vertice con la controparte italiana si terrà giovedì e venerdì. E allora sarà finalmente chiaro, ha messo in chiaro Gentiloni, se “la fermezza delle reazioni di governo, magistratura, famiglia e Italia intera potrà riaprire il canale di piena collaborazione” dell’Egitto, “tra l’altro assicurato dal presidente Al Sisi”.
“Canale di piena collaborazione”, ha insistito Gentiloni, “vuol dire acquisire documenti mancanti, non accreditare verità distorte e di comodo, accertare chi sono i responsabili, accettare l’idea che l’attività investigativa possa vedere un ruolo più attivo degli investigatori italiani”. Vuol dire, ancora, offrire alla magistratura italiana tutti gli elementi a disposizione per tracciare i movimenti e gli incontri di Giulio Regeni fino al momento della sua scomparsa. Perché, ha rimarcato Gentiloni, il dossier inviato a marzo dall’Egitto “era carente e generale, mancava di almeno due dei cinque capitoli richiesti. In particolare, quelli sul traffico della cella del telefono di Regeni e i video della stazione della metropolitana del Cairo nei pressi della quale potrebbe essere accaduto il sequestro”.
“Ulteriori difficoltà – ha ricordato il ministro degli Esteri – sono arrivate dall’accavallarsi di notizie, versioni più o meno ufficiali, smentite verità di comodo che in questi ultimi due mesi sono circolate con troppa frequenza, quasi sempre fuori dai canali ufficiali”. Poi si sono susseguite “teorie, come quella dell’azione criminale, alle voci su Giulio Regeni informatore di questa o quella intelligence. Questo non ha contribuito all’efficienza della nostra collaborazione”. La pista della banda criminale è stata “un ulteriore e ancor più grave tentativo di accreditare una verità di comodo, ma l’Italia ha subito chiarito che non l’avrebbe accettata come conclusione delle indagini. Nei giorni successivi diversi membri del governo egiziano hanno chiarito che le indagini sono ancora in corso e di questo abbiamo preso atto”.