ROMA – Sinistra riformista contro sinistra masochista: Matteo Renzi sintetizza così il conflitto in campo, non solo nel Partito democratico. Il centrodestra è in crisi, Forza Italia ha l’incubo di crollare sotto il 10%, ma niente illusioni: la partita rimane difficile, avverte il premier, anche perché Silvio Berlusconi ha sette vite come i gatti e non è escluso che possa dare compimento al progetto di mettere in piedi un partito repubblicano all’americana.
Nell’attesa, occorre fronteggiare le spinte centrifughe all’interno del partito. L’uscita di Pippo Civati e l’eventuale addio di Stefano Fassina non preoccupano Renzi. «Noi stiamo ripartendo, punto. Spero che Fassina rimanga, se non rimane è un problema suo non nostro. Noi dobbiamo portar avanti il paese. Se vedo i numeri di chi se n’è andato dal Pd e di chi è arrivato, soprattutto da Sel, il numero è positivo», dice intervistato su RepubblicaTv. Ma all’interno dei dem è scontro: «Renzi sbaglia. Non è un problema solo di Fassina se uno come lui ha dubbi sul Pd. È un problema di tutto il Pd», dice l’ex capogruppo Roberto Speranza.
Il diretto interessato Fassina spiega che «c’è una riflessione in corso, quello che è successo col Jobs act prima e sulla scuola poi è il tracciato di un percorso che per me è insostenibile», dice ai microfoni di Radio Cusano. E poi, mentre Renzi è intervistato da RepubblicaTv contesta con un tweet le statistiche diffuse ieri dall’Inps.
Che le tensioni in casa Pd ci siano testimonia l’sms arrivato ai parlamentari dem per annunciare l’annullamento dell’assemblea dei deputati che avrebbe dovuto scegliere il capogruppo, dopo le dimissioni del 15 aprile di Speranza. «L’assemblea del gruppo prevista per domani è annullata. Sarà convocata in data successiva alle elezioni regionali», recita ancora il messaggino.
Renzi prova a prevenire le critiche: «Siamo aumentati anche nell’ala sinistra. Non è vero che c’è il rischio di smottamento al centro».Inoltre per rivendicare un’identità di sinistra “riformista” Renzi mostra di non avere bisogno dei padri nobili del partito: «non è che si è di sinistra solo se c’è D’Alema o Bersani». Ma è proprio da uno dei referenti del Pd, Romano Prodi, che arriva un’altra critica: «Sull’Italicum ho sempre preferito non pronunciarmi. Ci sono aspetti che turbano, come i 100 capolista e soprattutto la pluralità di candidature, per cui alla fine si viene a gestire dall’alto un numero rilevantissimo di parlamentari», dice l’ex premier Romano Prodi, nel corso de L’Incontro su Sky TG24 HD che andrà in onda questa sera alle 21.10.