
ROMA – Nel giorno del Consiglio dei ministri su riforma del Senato ne titolo V, Matteo Renzi sfida la fronda Pd e lancia l’ultimatum: «Non ci sto a fare le riforme a metà, non sto a Roma perché mi sono innamorato dei palazzi: se la classe politica dice che non bisogna cambiare, faranno a meno di me e magari saranno anche più contenti». Il premier interviene a Rtl 102.5 e avverte i “ribelli” guidati proprio del presidente del Senato, Pietro Grasso. «Al dolore della gente -avvisa Renzi- bisogna dare risposte chiare. Il governo deve essere coraggioso, perché o lo è o perdiamo la faccia. Ed io la faccia non la voglio perdere». Ma nel governo si registra lo strappo del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini: «È un po’ inconsueto che sia il governo a presentare un ddl su questo tema. Serve che il Parlamento ne discuta per ritoccare e migliorare alcuni aspetti». La Giannini suggerisce a Renzi «qualche momento di riflessione e maturazione in più».
Sulla riforma del Senato, oggi in Cdm, Renzi è netto: «Per ridurre il numero dei parlamentari e semplificare il quadro, facciamo un Senato in cui, senza indennità, siedano sindaci e presidenti di Regione». Per il premier «i paletti fondamentali sono: senatori gratis, che non votino più la fiducia, che non votino il bilancio e soprattutto che il Senato non sia eletto, perché noi in Italia abbiamo il numero di parlamentari più alto d’Europa, anzi più alto addirittura degli Usa. Diamoci una regolata». Detto questo, Renzi sfida la classe politica a mettersi di traverso alle riforme: «Voglio vedere come si fa a tornare ai cittadini dicendo non abbiamo voluto dare un segno alla casta, voglio vedere». Poi rilancia: «Provo curiosità: voglio vedere se davvero non votano. I parlamentari del mio partito che non vogliono votare» il ddl costituzionale sul Senato «dovrebbero ricordare che» quella proposta «l’ho portato alle primarie» ed è stata «votata dai nostri elettori». E che è stata vagliata «due volte dalla direzione» del Pd.
Secondo Grasso però la Camera Alta deve restare elettiva, altrimenti, il combinato disposto del ddl annunciato da Renzi («con il Senato composto da esponenti delle autonomie non scelti direttamente dai cittadini») con l’Italicum «mette a rischio la democrazia». Il presidente del Senato, parlando ieri a La Repubblica e a L’Unità è stato categorico: non bisogna abolire il Senato, che deve restare un’ assemblea di eletti, perché serve «una Camera che sia di controllo e di garanzia». E altrettanto secca è stata la replica di Renzi al Tg2: «Mai più bicameralismo perfetto». Il Senato «non sarà più elettivo, altrimenti sarebbe una presa in giro nei confronti degli italiani». Il modello che oggi il governo illustra al Cdm, «rispetta la Costituzione», assicura il premier. «Bisogna andare avanti e non tornare indietro. Capisco le resistenze di tutti, ma la musica deve cambiare» e «il vero modo per difendere il Senato non è una battaglia conservatrice», incalza Renzi, che probabilmente nei prossimi giorni avrà la sponda del Colle, che in passato si era già espresso per la fine del bicameralismo. E un sostegno alle riforme arriva anche da Berlusconi che però pianta ben saldi i suoi paletti: noi ci siamo ma non accetteremo mai «testi blindati».
A rafforzare la linea del premier è intervenuta anche il vicesegretario Pd, Debora Serracchiani, che prima ha difeso il testo del governo e poi ha invitato Grasso a rispettare le decisioni del partito. Non si dimentichi che lui è stato eletto con i Dem, afferma. Dopo un po’ corregge il tiro dicendo che il ruolo della seconda carica dello Stato non è in discussione. Ma la «bacchettata» non passa inosservata e Beppe Fioroni reagisce invitando il suo partito a rispettare e a «non pressare» le alte cariche istituzionali. Ma se il governo «non molla», anche Grasso insiste e dopo le interviste assicura in Tv da Lucia Annunziata che il suo «vuol essere solo un contributo», ma che come tale vorrebbe che venisse ascoltato. «Io sono il primo rottamatore del Senato e non sono né un parruccone né un conservatore», precisa. «Ma non si può cambiare la Costituzione a colpi di fiducia come si è fatto per le Province», mentre una riforma monocamerale, unita all’Italicum, può presentare «un rischio per la democrazia». Grasso ricorda di aver già avanzato le sue perplessità con il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, ma di non aver avuto «alcun ritorno». Poi, dà al premier un consiglio che suona come un avvertimento: se sulla riforma le cose restano così, «i numeri al Senato rischiano di non esserci». E le sue affermazioni sembrano risvegliare la fronda anti-riforma. In un documento, 25 senatori Pd, guidati da Francesco Russo, rivendicano di non essere «meri esecutore» e invitano Renzi «ad ascoltare le tante voci» e a «non porre ultimatum». Pippo Civati annuncia che nelle prossime anche verrà presentata una proposta di riforma costituzionale diversa dal ddl del governo che prevede, al contrario di quella del governo, un Senato elettivo.