ROMA – Matteo Renzi porta in Parlamento, prima alla Camera e poi al Senato, il programma di legislatura, indicando nel febbraio 2018 la scadenza naturale del governo. I mille giorni non sono “un tentativo di dilazione ma l’ultima chance per l’Italia dopo aver perso tanto tempo”. Non perché, avverte il premier, «abbiamo paura» di elezioni anticipate ma perché bisogna «rimettere in pista» l’Italia con riforme che devono marciare «insieme», dalla legge elettorale a quella del lavoro.
A Montecitorio, il premier parla per 45 minuti e sostiene la volontà di tirare dritto: è una lettura «grottesca e persino ridicola» quella di chi ha dipinto il cambio di passo del governo come «una dilazione, un prendere tempo». Al contrario i Mille giorni sono «il cartellone di recupero» perché «l’Italia ha interrotto la caduta ma non basta, non è sufficiente». O ce la fa il governo o «perde l’Italia» visto che in gioco non è tenere «in piedi la carriera di un singolo parlamentare o di un membro governo ma l’Italia».
Matteo Renzi mette in gioco sé stesso per riuscire a realizzare le riforme: pur non temendo le elezioni anticipate, il premier andrà avanti fino al 2018 perché la vera posta in gioco è tornare a far crescere il paese «reimpostando e rovesciando la scommessa politica e economica di questo paese».
Le riforme «o si fanno tutte insieme o non si porta a casa il cambiamento», avverte Renzi. Le riforme istituzionali quindi devono viaggiare di pari passo a quelle economiche e sociali e chi pratica «il benaltrismo come filosofia politica ignora il dato di fatto che non si esce con il passo della tartaruga da 20 anni di stagnazione».
Dopo aver vinto, con il primo via libera alla riforma del Senato, l’accusa di aver fatto «il primo golpe con la moviola della storia del Paese», il governo ora farà viaggiare sia la riforma istituzionale sia la legge elettorale che «va fatta subito». Non per andare alle elezioni anticipate, chiarisce Renzi, ma per «evitare l’ennesima melina istituzionale». Una riforma che, è l’auspicio, va fatta con il confronto parlamentare «senza bulldozer» ma evitando il rinvio.
Il premier ammette che «gli 80 euro non hanno dato gli effetti sperati», ma sono l’inizio di una «strategia condivisa» di riduzione fiscale per rendere il «fisco meno caro possibile».
Rivolgendosi a tutto il Parlamento, in particolare alla «sinistra», Renzi conferma l’acceleratore sulla riforma del lavoro. Al termine dei mille giorni il diritto del lavoro sarà rivoluzionato perché «non c’è cosa più iniqua che dividere i cittadini tra quelli di serie A e quelli di serie B» e va superato un «mondo del lavoro basato sull’apartheid». Il problema non è il reintegro legato all’art.18 ma la semplificazione della giungla delle regole e, o il Parlamento lavora, «altrimenti siamo pronti anche a intervenire con misure di urgenza».
Il premier evita di aprire lo scontro con i rigoristi europei e non fa cenno ai vincoli europei da rispettare. Ma insiste perché la crescita torni al centro: «Siamo pronti a investire bene i 300 miliardi» annunciati da Jean Claude Juncker e di cui «chiederemo conto». Ma non rinuncia a polemizzare con «le banche d’affari che ci considerano fallite ma sono le stesse che sono fallite e sono state salvate dai nostri fondi».