L’AQUILA – Il sei aprile 2009 ci fu il terremoto all’Aquila. La situazione emergenziale determinò che le forniture di beni e i lavori furono aggiudicati senza gara: ai lavori, per decine di milioni di euro, volevano partecipare l’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini e il suo collega Enrico Intini, titolare della società Sma, circostanza questa che spingeva ‘Gianpi’ a portare escort nelle residenze di Silvio Berlusconi per ottenere così un lasciapassare per fare affari con la Protezione civile e Finmeccanica.
La malavita organizzata, insomma, aveva messo subito gli occhi sulla ricostruzione dell’Aquila. A confermarlo arrivano anche i dati emersi dal ministero e provenienti dalla Prefettura aquilana: sono 37 gli imprenditori in odor di mafia, nei confronti dei quali la Prefettura ha disposto delle interdizioni. Imprese da tenere sotto controllo. Sarebbero 28 quelle coinvolte nella ricostruzione di opere pubbliche, mentre le restanti nei cantieri privati dove (ed è la denuncia che da oltre un anno fa il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente) è più facile infiltrarsi.
Gli appalti sono meno sostanziosi, ma i controlli sono meno stringenti di quelli del settore pubblico. Un vuoto che soltanto la Legge sulla ricostruzione potrebbe colmare, ma i tempi per una sua approvazione, secondo la sottosegretaria all’Economia con delega alla ricostruzione, Paola de Micheli, sono ancora lunghi. Molte le imprese pilotate da prestanomi. E’ di pochi giorni fa l’arresto dell’imprenditore casertano Raffaele Cilindro, vicino al clan Zagaria e ritenuto dagli inquirenti “amico” di un altro imprenditore indagato per aver fatto da riferimento delle cosche negli appalti per la ricostruzione, Alfonso Di Tella.