FARINDOLA – È dunque di 18 il numero delle vittime e di 11 il numero dei dispersi. Lo rende noto la Prefettura di Pescara. È un bilancio che si aggrava con il passare delle ore quello della tragedia dell’hotel Rigopiano di Farindola, travolto il 18 gennaio scorso da una valanga provocata dalle scosse di terremoto. I Vigili del fuoco hanno estratto dalle macerie altri corpi senza vita.
Che il vento fosse purtroppo girato definitivamente al peggio, lo si è compreso già nella tarda serata di lunedì, quando i vigili del fuoco sono riusciti finalmente a bucare il muro che separava la parte già controllata dell’hotel dalle cucine e dalla zona bar. Speravano che dietro a quel muro di cemento armato spesso 80 cm la furia della valanga avesse risparmiato almeno qualcosa. Una stanza, un angolo dove le persone rimaste intrappolate avessero potuto trovare riparo. In fondo è quel che è successo per i bimbi nella sala biliardo e per i sopravvissuti nella hall, vicino al camino.
Ma non è andata così: «Dietro quel muro – spiegano – c’è un ammasso di neve ghiacciata e compatta, tronchi d’albero, fango, detriti della frana e pezzi di cemento. Tutto frullato insieme. Mai vista una cosa simile. L’unica cosa che ci possiamo augurare, a questo punto, è che siano tutti lì e che li troviamo prima possibile». Da là dentro, lunedì sera, hanno estratto quattro corpi.
Ma era solo l’inizio: in meno di venti ore ne hanno recuperati altri otto, quattro uomini e quattro donne. Devono ancora essere tutti identificati formalmente, ma tra loro ci sarebbe anche Faye Dane, il rifugiato senegalese che lavorava in hotel e il cui nome non era stato inizialmente inserito nella lista dei dispersi. Il che significa che dei 40 presenti mercoledì scorso al Rigopiano, quando la valanga si è abbattuta sull’hotel, 18 sono morti. Tolti gli undici sopravvissuti, restano ancora 11 dispersi.
«Si va avanti, dobbiamo terminare il lavoro – dice il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio -. È un lavoro complicato e lo sapevamo fin dall’inizio, ma andiamo avanti». Parole ribadite da Luigi D’Angelo, il funzionario del Dipartimento della Protezione Civile al centro di coordinamento dei soccorsi a Penne. «Non ci fermeremo fino a quando non avremo la certezza che non ci sia più nessuno» sotto le macerie o sotto la neve. «Stiamo scavando nel cuore della struttura e dobbiamo continuare a cercare fino alla fine».
Se lì dentro è rimasta una sacca d’ossigeno, la possibilità che ci sia qualcuno in vita teoricamente c’è. È un filo sottilissimo, ma è ancora integro. Lo ripetono gli esperti e lo dicono i soccorritori, che per questo stanno facendo di tutto per accelerare le operazioni di ricerca nonostante continui a nevicare e la nebbia impedisca agli elicotteri di volare. Nell’area dell’hotel lavorano decine di uomini del soccorso alpino e della Guardia di Finanza, che continuano a scandagliare i metri di neve che ancora sovrastano il Rigopiano, mentre 70 vigili del fuoco, dei 150 che a rotazione operano in zona rossa, sono impegnati 24 ore al giorno nelle ricerche all’interno della struttura.
Sia Curcio sia D’Angelo sorvolano sul fatto che le ricerche, ormai, sono concentrare sui morti, anziché sui vivi. Ma anche in questo caso le parole servono a poco davanti alle immagini che i soccorritori continuano a girare dove una volta c’era l’hotel. L’unica possibilità che qualcuno sia potuto sopravvivere, infatti, era riposta nell’integrità dei locali al piano terra: dei tre piani che formavano il corpo principale dell’hotel, quello dove c’erano le camere degli ospiti, non è rimasto più nulla. Il tetto spiovente, crollato dopo esser stato travolto dalla valanga, ha schiacciato completamente tutti e tre i piani. I soccorritori non ci sono neanche andati, a cercare lì dentro. Perché, se qualcuno era in camera, è morto nell’istante in cui la massa di neve ha colpito l’albergo.
Intanto l’inchiesta della Procura di Pescara prosegue su più fronti: testimonianze, acquisizioni, documenti, autopsie. Sono stati ascoltati Giorgia Galassi e Vincenzo Forti i due fidanzati di Giulianova, i quali sono molto provati. sono iniziate altre autopsie, il fronte delle indagini cerca particolari precisi su tutto quello che poteva essere fatto prima, cioè per la gestione dell’emergenza e per il durante, cioè capire se in quel disastro totale che era l’Abruzzo di quelle ore, tutto sia stato fatto per arrivare in tempo a Rigopiano. Le turbine per esempio: in Abruzzo l’Anas ne ha nove. Quella di Penne non si è mai fermata, ha spazzato la ss 81 di competenza dell’Anas, ma sarebbe stata più necessaria altrove? E chi avrebbe dovuto decidere? È al vaglio insomma la catena di comando dei soccorsi, le responsabilità precise delle sale operative.
E nell’inchiesta irrompe come un macigno la sentenza del 2016 sulla presunta corruzione nei lavori di ristrutturazione del 2007-2008. Il Forum H2O alla lettura del dispositivo ha subito annunciato che lo invierà al Csm per le valutazioni. Nella sentenza in merito ai presunti abusi su terreni demaniali ad uso civico pastorale si confermano gli abusi, sanati successivamente da una delibera del Comune che diventò oggetto di accusa della Procura. I tre giudici scrivono che «l’occupazione abusiva che riguardava una porzione di terreno piuttosto esigua (1.700 mq) tenuto conto della collocazione geografica (un’area di montagna totalmente disabitata e destinata a pascolo), fu sanata e stabilito per la sua occupazione un canone che non vi sono motivi per ritenere incongruo».