ROMA – Sono iniziati stamattina nel carcere di Regina Coeli gli interrogatori di garanzia della vastissima inchiesta (37 arresti e un centinaio di indagati) sulla mafia nella capitale, e su quel “tavolo di mezzo” a cui sedevano quelli del “sovramondo” e gli esponenti del “sottomondo”. L’attività istruttoria terrà impegnata per alcuni giorni il gip Flavia Costantini che ha firmato le 1200 pagine di ordinanza di custodia cautelare. Dalla prossima settimana sono previsti, invece, gli interrogatori di garanzia dei nove indagati per i quali sono stati disposti gli arresti domiciliari. Al centro del malaffare, un intricato business che riguardava appalti su rifiuti e verde pubblico, ma soprattutto quel sistema di welfare sociale che coinvolge le case popolari e i campi nomadi.
L’indagine intanto si allarga a macchia d’olio: gli accertamenti della procura di Roma si stanno estendendo anche alla Regione Lazio. Si vuole infatti arrivare a comprendere il livello di infiltrazione dell’organizzazione capeggiata da Massimo Carminati – ex della Banda della Magliana – nei palazzi di via della Pisana e di via Cristoforo Colombo. Sale di livello, dunque, l’indagine della Dda della procura di Roma, che ha acceso un faro sulla vecchia e sull’attuale amministrazione e su quanto è successo in questi anni nei palazzi di via della Pisana e in viale Cristoforo Colombo. In un’intercettazione ambientale del maggio scorso, ad esempio, tra Carminati, il presidente di alcune cooperative sociali Salvatore Buzzi, il vice Carlo Guarany e altre due persone, l’organizzazione ragionava su quali appalti fosse opportuno focalizzare l’attenzione e sulla necessità di trovare un sostegno politico («ma dobbiamo sceglie la strada politica pure… Sono due dentro il Pd, che sarebbe questa Leonori», dice Guarany), in merito a una non meglio precisata «gara da 60 milioni». Carminati, come riferisce il gip Flavia Costantini, nell’ordinanza di custodia cautelare, ricordava ai presenti che in Regione Lazio potevano contare anche sull’appoggio di Luca Gramazio («se c’è da dà una spinta…»).
L’associazione a delinquere che faceva riferimento a Carminati aveva un libro mastro che conteneva “una vera partita doppia del dare e avere illecito, dei destinatari delle tangenti”. La contabilità era stata affidata ad una donna, Nadia Cerriti, finita anche lei in carcere. Nel documento sono riportati anche “i costi illegali sostenuti – scrive il gip – dall’organizzazione per il raggiungimento del suo scopo nel settore economico-istituzionale”. Inoltre vi è contenuta l’indicazione “dei soggetti cui vengono veicolati i profitti, come Carminati, o come Fabrizio Franco Testa, testa di ponte di “mafia Capitale” verso la politica e la pubblica amministrazione”. Nel libro mastro anche “una rappresentazione del conto economico illecito dell’organizzazione, con una specifica rappresentazione delle relative disponibilità extracontabili”.
Tra i politici che Mafia Capitale considerava più avvicinabili, stando alle intercettazioni allegate all’ordinanza, c’è anche l’attuale deputato Pd Umberto Marroni, ex capogruppo in Consiglio comunale a Roma e quindi capo dell’opposizione con Gianni Alemanno sindaco. Nelle intercettazioni il suo nome – anche solo come Umberto – viene citato sempre da Salvatore Buzzi, braccio destro imprenditoriale del capo Massimo Carminati. Quando il clan ha il problema di confermare la nomina di Giovanni Fiscon – arrestato ieri – a direttore generale della municipalizzata dei rifiuti Ama, Buzzi dice all’interessato: «Co’ Umberto ce posso parla’ io, però ormai Umberto colle cose del Comune non c’entrerà più niente, eh! Comunque vada… cioè, se vince Marino, Umberto conterà un cavolo». Tanto che Mafia Capitale pensa di sostenerlo nella corsa al Campidoglio. «Noi oggi alle cinque lanciamo Marroni alle primarie per sindaco eh», dice Buzzi in una intercettazione.
Intanto cadono le prime teste: l’ex sindaco Gianni Alemanno, al momento solo indagato per associazione mafiosa, si è dimesso «irrevocabilmente» da tutti gli organi di Fratelli d’Italia, fino a quando la sua «posizione non sarà pienamente chiarita». In una lettera inviata a Giorgia Meloni, leader del partito, l’ex primo cittadino di Roma ha spiegato come in questo momento il suo impegno «non possa non essere quello di capire realmente la portata di questa inchiesta e di dimostrare in maniera chiara e puntuale, in tutte le sedi, la mia estraneità agli addebiti che mi vengono mossi». Sempre oggi – dopo una riunione dei democrat alla Pisana – anche il consigliere Pd Eugenio Patanè, anche lui solo indagato, ha deciso di dimettersi da presidente della commissione Cultura del Consiglio Regionale del Lazio.