L’AQUILA – “Si voleva far credere che le magnifiche sorti e progressive, come diceva Leopardi, sarebbero state registrate all’Aquila con la fine del commissariamento. Io credo che adesso tutti sappiano perche’ io dovevo essere tolto. Perche’ ero un baluardo rispetto a certe situazioni”. Lo ha detto il presidente della Regione Gianni Chiodi, a Pescara, rispondendo alle domande dei giornalisti relative alla vicenda su presunte tangenti per la ricostruzione all’Aquila.
“Ho l’impressione – ha proseguito – che quello che sta succedendo all’Aquila, gli aquilani lo sapessero ben prima della magistratura. Ci sono quindi delle responsabilita’ politiche molto forti in questo senso. E’ necessario che gli aquilani abbiano la garanzia che la propria classe dirigente sia assolutamente al di sopra di ogni sospetto”. Per il governatore abruzzese occorre “un profondo rinnovamento di quello che e’ un sistema di casta ormai inveterato da tantissimi anni, che ha cloroformizzato la citta’ per certi versi, che e’ trasversale, che usa tutti gli strumenti finalizzati alla conservazione del potere e poi sposta l’attenzione ogni volta. Oggi si attaccano fantomatiche strategie di una certa ‘Spectre’ che vedrebbe coinvolto il governo, che vuole fare cadere un sindaco. E’ il modo tipico della scuola delle Frattocchie di distogliere l’attenzione rispetto ai reali problemi. Gli aquilani meritano molto di piu’ di quello che hanno”.
Alle affermazioni di Chiodi risponde però il segretario regionale del Pd Silvio Paolucci: “Chiodi volgarmente strumentalizza da sempre L’Aquila e spera che gli aquilani dimentichino le sue enormi carenze da commissario per la ricostruzione, il suo immobilismo, la sua resistenza a qualunque norma potesse garantire una ricostruzione trasparente e partecipata. I fatti contestati in questi giorni risalgono proprio ai tempi in cui il commissario era Chiodi: altro che baluardo. Chiodi e’ l’ultimo politico abruzzese a poter dare lezioni agli aquilani”.
“Chiodi non ha titolo a bacchettare alcuno sui temi della legalita’: e’ presidente di una giunta travolta da tre arresti che hanno coinvolto anche uomini a lui vicinissimi – sottolinea Paolucci – eppure non si e’ mai dimesso. Anzi, c’e’ il legittimo sospetto, dopo i primi interrogatori resi, che sia stata proprio l’imminenza del terzo arresto, quello dell’assessore Luigi De Fanis, a spingere Chiodi a regalarsi altri sei mesi di mandato con un atto autoritario e senza precedenti, che sono gli stessi abruzzesi a pagare di tasca loro. Da commissario per la ricostruzione, Chiodi ha lasciato gli aquilani da soli pur di non disturbare il suo capopartito Silvio Berlusconi, al tempo capo del governo: e questo nessuno lo dimentica”.