ROMA – Renzi contro Finocchiaro, Finocchiaro contro Renzi, Renzi contro (quasi) tutti: è il Pd con la massima a 190 che domina la scena, mentre si avvicina l’ora delle decisioni irrevocabili per la scelta del prossimo inquilino del Colle. Ieri sera il sindaco di Firenze, che occhieggia a Romano Prodi, aveva tirato fuori la storia dell’allora capogruppo del Pd al Senato che andava in un grande magazzino a fare compere, per far tirare il carrello agli uomini della scorta. Non esattamente un compito da addetti alla sicurezza, ed un atteggiamento che secondo Renzi qualifica Anna Finocchiaro inappellabilmente come esponente della Casta. Da eliminare dalla corsa al Colle, quindi.
Stamane il primo fuoco di fila contro Renzi, formato da due esponenti di altrettante anime del Pd come Stefano Fassina e Giuseppe Fioroni. Due interviste, le loro, in cui il perdente delle passate primarie viene tacciato di atteggiamenti irresponsabili, di volontà distruttive nei confronti della casa comune e di pose offensive. Più tardi, una nota della diretta interessata pone fine ad ogni equivoco sulla sua candidatura, ma non alle polemiche intestine che portano il Pd sempre più sull’orlo di una crisi di nervi. «Non mi sono mai candidata a nulla. Conosco bene i miei limiti e non ho mai avuto difficoltà ad ammetterli. Ho sempre servito le istituzioni in cui ho lavorato con dignità e onore, e con tutto l’impegno di cui ero capace, e non metterei mai in difficoltà né il mio Paese, né il mio partito. Trovo che l’attacco di cui mi ha gratificato Matteo Renzi sia davvero miserabile, per i toni e per i contenuti», dice con rabbia trattenuta Anna Finocchiaro. «Trovo inaccettabile e ignobile – prosegue – che tutto ciò provenga da un esponente del mio stesso partito. Sono dell’opinione che chi si comporta in questo modo potrà anche vincere le elezioni, ma non ha le qualità umane indispensabili per essere un vero dirigente politico e un uomo di Stato». Una fotografia anche troppo efficace del clima che si respira al Nazareno.
La partita per il Quirinale è sempre più complicata, con i “pontieri” di Pd e Pdl a lavoro per sbloccare una situazione ora più che mai in bilico, anche se ancora aperta, dopo i veti incrociati tra Bersani e Berlusconi sul governo di larghe intese e la candidatura di Romano Prodi al Colle. Rimane infatti sempre rovente lo scontro sul professore di Bologna, soprattutto dopo le bordate che gli ha sparato il Cavaliere nel comizio di Bari. «Non vorrei che si creasse un problema di emigrazione di massa, ma posso solo dire – ha replicato ieri Prodi- che nella così detta corsa per il Quirinale non ci si iscrive e non ci si deve nemmeno pensare». Vendola è sceso in campo a difenderlo senza mezze misure. Sta di fatto che il nome di Prodi agita i sonni di Berlusconi, che teme una convergenza dei voti del Movimento 5 Stelle. La situazione è questa: il fondatore dell’Ulivo è il favorito in caso di rottura tra Pd e Pdl. Se invece si trovasse l’intesa il nome più probabile è quello di Amato.