ROMA – La Corte costituzionale ha accolto il ricorso del Presidente della Repubblica nel conflitto di attribuzioni con la Procura della Repubblica di Palermo dichiarando che non spettava alla Procura di valutare la rilevanza delle intercettazioni né di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271 del codice di procedura penale.
La decisione stabilisce che quelle intercettazioni erano vietate, quindi da distruggere nel corso di una udienza segreta davanti al giudice. «La Corte costituzionale – informa la Consulta – in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal Presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell’ambito del procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271, 3° comma, c.p.p. e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti».
Dopo un’udienza pubblica di un’ora e quaranta e una camera di consiglio di circa 4 ore, la Consulta ha infatti stabilito che i pm non avrebbero dovuto valutare le conversazioni del Capo dello Stato, né omettere di chiederne la distruzione seguendo il percorso tracciato per le intercettazioni vietate. Soddisfatto l’ex avvocato generale dello Stato, Francesco Caramazza, che ha steso il ricorso e che a settembre ha passato il testimone a Giuseppe Dipace: «Fin dal primo momento ho ritenuto che quel ricorso fosse fondato, sono contento di non essermi sbagliato».