L’AQUILA – Si è aperta e si è chiusa subito con un rinvio al 19 novembre la prima udienza del processo con rito immediato per lo stupro della studentessa laziale di 24 anni fuori da una discoteca di Pizzoli avvenuto l’11 febbraio. Nella vicenda è imputato il giovane campano Francesco Tuccia, che all’epoca dei fatti era militare del 33° reggimento artiglieria terrestre “Acqui” di stanza all’Aquila, oggi assente. C’era invece la ragazza vittima dello stupro, che si è presentata con occhiali da sole, sciarpa, giacca e maglione blu e jeans, accompagnata dalla cugina e “scortata” dall’avvocato difensore, Enrico Gallinaro.
Questa mattina sono stati ascoltati tre ufficiali dei carabinieri, il colonnello Andrea Ronchey, il capitano Marcello D’Alesio e il tenente Federica De Leonardis, un medico e uno psicologo. Gli altri testimoni, in tutto sono una cinquantina, verranno sentiti nel corso delle prossime udienze.
All’inizio in aula erano presenti anche i genitori della vittima della violenza, mentre i familiari di Tuccia si trovavano in disparte a pochi metri da dove si sta svolgendo il processo. Il Presidente del collegio giudicante, entrato in aula ha subito dichiarato che il processo si sarebbe svolto a porte chiuse ad ha inviato tutte le persone estranee al procedimento penale ad uscire fuori, compresi i genitori della vittima e dell’imputato.
Fuori dalla struttura, in segno di protesta, era presente un nutrito gruppo di rappresentanti del Centro Anti Violenza dell’Aquila che, dopo una richiesta avanzata al collegio giudicante, è stato ammesso come parte civile nel processo. C’erano donne con striscioni e cartelloni con su scritto: “La violenza degli uomini sulle donne ci riguarda tutte”, “Lo stupratore non è malato ma figlio sano del patriarcato”, “Libere di scegliere”,”Per ogni donna stuprata e offesa siamo tutte parte lesa”. La sentenza potrebbe esserci nel giro di quattro-cinque udienze.