L’AQUILA – Venti pagine di motivazioni per spiegare la sentenza a carico di Francesco Tuccia. “La vittima è stata lasciata sola e spesso la violenza colpisce le donne lasciate sole in un contesto di indifferenza che le rende più vulnerabili”. L’ex militare era stato condannato ad otto anni di reclusione lo scorso 30 gennaio per lo stupro avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2011 fuori il piazzale della discoteca Guernica di Pizzoli, ai danni di una studentessa universitaria di Tivoli di 22 anni, lasciata in una pozza di sangue dopo la violenza sessuale, tra le neve e con una temperatura al di sotto dello zero.
Per il giudice Italo Radoccia gli elementi di prova a carico di Tuccia “appaiono numerosi e concordanti”. Radoccia, estensore delle motivazioni è andato oltre, sembrerebbe censurando anche gli amici di Tuccia “in quanto militari e quindi avrebbero dovuto essere avvezzi alla disciplina e al senso dell’onore”. Il magistrato ha invece rivolto un plauso ai titolari della discoteca e soprattutto al personale addetto alla sicurezza che con il suo operare ha di fatto salvato da morte certa la ragazza.
Per il magistrato Radoccia, “nessun valido consenso ai rapporti sessuali poteva essere dato dalla ragazza per via del suo stato di forte ebbrezza da sostanze alcoliche che hanno ridotto al minimo la sua capacita’ di autodeterminarsi, data la sua intossicazione alcolica”. Sull’amnesia della ragazza relativa ai momenti antecedenti la violenza, il magistrato afferma che “l’assenza dei ricordi ha origine psicologica ma l’effetto e’ potenziato dall’assunzione di sostanze psicoattive come l’alcol”. “Gli elementi di prova a carico di Tuccia – prosegue – appaiono numerosi e concordanti che delle dichiarazioni della vittima si puo’ anche fare a meno”. Tuccia “ha compiuto volontariamente atti diretti a compromettere la libera determinazione in ordine alla sfera sessuale della giovane e cio’ anche a prescindere se la finalita’ che ha spinto l’imputato sia stata la concupiscenza o l’umiliazione della vittima”.
Tuccia ha accettato il rischio di provocare lesioni alla giovane vista la pericolosita’ della pratica fisting (penetrazione anale con mano). Sul tentato omicidio (non contestato a Tuccia) Radoccia sottolinea: “Non e’ possibile dimostrare che la volonta’ del Tuccia fosse quella di provocare la morte della giovane ma solo che il decesso di quest’ultima potesse essere una possibile conseguenza della sua condotta, diretta a sottrarsi all’identificazione come autore della violenza”. “Dal momento che il tentativo e’ incompatibile con il dolo eventuale, nel quale la rappresentazione dell’agente investe l’evento solo come possibile conseguenza di una condotta diretta ad altro, in questo caso a fuggire per non essere chiamati a rispondere di una condotta comunque violenta. Il delitto tentato – spiega sempre il magistrato – non puo’ prescindere dal dolo diretto, infatti se puo’ argomentarsi che il requisito dell’idoneita’ degli atti e’ compatibile con il dolo eventuale, non puo’ ravvisarsi tale compatibilita’ anche con riferimento al requisito dell’inequivocita’ degli atti, essendo questo requisito del tutto inconciliabile con lo stato di dubbio”.
Sempre secondo il giudice estensore, “la vittima soffre di difficolta’ fisiche relazionali e anche del timore di ritornare a vivere la vita sociale e familiare dovendo fare i conti con l’accaduto. In presenza di questo timore la sua autodifesa consiste nel non ricordare o nel rifiutarsi di ricordare, ma d’altro canto questa condizione d’animo puo’ portare facilmente alla depressione”. Per il magistrato non c’e’ dubbio che Tuccia ha cercato con la complicità degli amici di scappare oltre che di sviare le indagini facendo ricadere la responsabilità su un terzo soggetto.