L’AQUILA – Chi non ha vissuto in prima persona il terremoto probabilmente non può immaginarlo. Ma un evento del genere potrebbe rivelarsi fortemente traumatico ed avere effetti a lungo termine sul funzionamento del nostro cervello che causano disturbi del sonno e incubi. E’ quanto emerge da una serie di studi svolti da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Medicina Clinica, Sanita’ Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente, coordinati dal Prof. Michele Ferrara dell’Università dell’Aquila. I ricercatori aquilani insieme a quelli dell’ Universita’ di Roma “La Sapienza”, hanno evidenziato che a due anni dal sisma del 2009, la popolazione aquilana, rispetto agli abitanti delle zone circostanti, continua a mostrare un significativo deterioramento della qualità del sonno e una maggiore incidenza di disturbi del sonno legati al trauma, quali gli incubi.
“In effetti – spiega Ferrara – una ridotta qualita’ del sonno si riscontra entro un raggio di 70 km dall’epicentro, anche se piu’ si e’ vicini ad esso e piu’ gravi sono i disturbi. Questo suggerisce che gli effetti psicologici del trauma possano risultare molto piu’ persistenti di quelli fisici del terremoto, durando per anni, oltre ad essere anche geograficamente piu’ estesi rispetto allo spazio interessato dal sisma. Infatti, l’area geografica in cui abbiamo riscontrato disturbi del sonno clinicamente rilevanti, e’ ben piu’ ampia di quella che ha subito le conseguenze fisiche piu’ catastrofiche del sisma”. Questi risultati potrebbero avere un importante risvolto applicativo, suggerendo l’importanza di implementare specifiche strategie di prevenzione che supportino la qualita’ del sonno dopo eventi traumatici. I ricercatori dell’Universita’ dell’Aquila hanno inoltre indagato i meccanismi neurali alla base di alcuni sintomi tipici del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) quali la difficolta’ di comprendere e condividere le emozioni altrui.
In questo studio un campione di sopravvissuti al terremoto del 6 aprile 2009 con DPTS e’ stato confrontato con un gruppo di soggetti sani, durante una scansione di risonanza magnetica funzionale (fRMI) con osservazione di immagini negative o stimoli neutri. I ricercatori hanno osservato nei pazienti con DPTS, una compromissione della connettivita’ funzionale tra le aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione di stimoli con forte valenza emotiva, in particolare tra la corteccia frontale ed alcune aree del sistema limbico. “E’ come se chi subisce una grande sofferenza, perdesse alcuni legami funzionali tra le aree del cervello che permettono alle persone di fare una corretta valutazione ed elaborazione degli stimoli emozionali”, spiega la Dott.ssa Monica Mazza, prima autrice dello studio.