Il testo poetico “La Spina” dell’autrice Argentina Silvia Vilarino è stato presentato sabato 4 maggio nella Biblioteca “Emilia Di Nicola”, nel quartiere San Donato di Pescara. L’Evento è stato organizzato dalla poetessa, pescarese di adozione, Antonella Caggiano, ed è stata l’occasione di un interessante dibattito sull’arte della traduzione. Un altro tassello delle iniziative sorte in seno alla Biblioteca, da anni faro di cultura in un quartiere problematico della città.
Subito, la prima lettura del testo di Silvia Vilarino, poetessa argentina, si rivela per quello che è in realtà, canto di solitudine, o ancor meglio “un desiderio” di sfuggire alle abitudini alienanti dell’assenza. Le prime pagine, sono, per il lettore, un incontro, con una “non presenza”che costringe lo stesso in un coinvolgimento immediato. E tutto questo è la sintesi della silloge“La Spina” appunto della poetessa argentina. La comprensione della quale è stata curata dalla saggia traduzione dallo spagnolo da Alessandra Addari.
Un viaggio, dunque, tra la scrittura, a volte dolente, a volte trascinante, del lirismo del mondo interiore dell’autrice. Una traduzione che riesce a catturare e restituire al lettore tutta l’armonia elegante, seppur lacerata, che appare, non solo tra le parole, o versi, ma soprattutto nelle piccole pause, nelle virgole che pongono interrogativi, senza risposte. E qui è il capolavoro della traduzione. Si parla sempre di “traduzione- tradimento” di un testo, ma in realtà è una lettura che va oltre il valore semantico. Tutte le lingue, almeno quelle più conosciute, come in questo caso, lo spagnolo argentino, che diversamente dalla lingua di provenienza (castigliano) ha delle ritmicità diverse, e degli arricchimenti mutuati dalle popolazioni autoctone, presentano delle problematiche a volte di ardua interpretazione, affiancate da altrettante di migliore comprensione. Tradurre, non significa, portare il termine originale nella lingua di “arrivo” nel caso nostro, appunto, l’italiano, alla lettera, ove possibile, ma è una “metamorfosi” linguistica, fermo restando la purezza del significato.
È esattamente lo stesso lavoro del pittore che ritrae un soggetto, non così com’è, ma come egli vuole sia visto da altri, ma con le stesse sensazioni, le stessa armonia, la stessa emozione. Dunque arte! E il lavoro di Alessandra Addari è traduzione da -poeta a poeta- , in questo senso. Lei stessa, ha donato ai lettori tutto il percorso lirico della Vilarino che in molti passaggi s’intonano alle cadenze dell’altra grande argentina Alfonsina Storni (1892-1938). Una traduzione creativa, dai passaggi geniali, che se letti in lingua originale hanno la medesima emozionalità che trasporta sguardi, vibrazioni, sensazioni di un universo, al contempo edificato da eleganti cadenze e raffinati lirismi della vita, e non solo dell’autrice, ma soprattutto del lettore (sappiamo bene che la poesia non appartiene al poeta, ma a chi sa leggerla).
Lo stesso vivere che ti fa da giudice implacabile e non ti fa sconti, e ritorna con ricordi, memorie, rimorsi, rimpianti. E’ il momento in cui la vita ti interroga, e spesso ti trova impreparato, e solo allora diventa forte e incontrollabile la forza interiore che ti impone l’assenza; ma è la medesima forza che però inevitabilmente va a scontrarsi con quello che si è acquisito, il vissuto, una latitudine, una vita, una scrittura che cambia ritmo, aspetti. Lo scrivere, un significato, emozioni come un flusso di coscienza, non di rado intrisi di velate malinconie. Quel territorio mentale dove tutto è evanescente e in attesa del nuovo, quello che si ha dentro e non si ha la forza o la voglia di cercare. Qui, dunque va a compimento l’arte traduttiva di Alessandra Addari, il geniale oltreché artistico capolavoro filologico, la lingua scritta che diventa fisica.
L’autrice, saggiamente, usa la parola poetica che tradotta ad arte, ne vien fuori una lettura, o ancor meglio una visione del tempo, che come già sottolineato “trascina” il lettore in una giostra di attimi e sensazioni, una sottile eleganza malinconica, che miracolosamente, è la forza costante che genera il viaggio lirico della memoria o fisico che voglia essere, o ancora delle imperscrutabili latitudini dei sogni, che è esattamente il mondo di Silvia Vilarino e a noi donato da Alessandra.
Il titolo della silloge “ La spina”, alla prima lettura, potrebbe dare l’idea delle spine di cristiana memoria, ma in realtà, la forma appuntita è il paradigma, o potrebbe essere, quella forma che lacera il foglio bianco, segna lo spartiacque da quello che è stato scritto e il rinnovato pensiero di sé che sta per scrivere altre storie. In conclusione, una originale prova di scrittura, una memoria fisica, una traslitterazione cromatica, con sfumature malinconiche, ma vitali, tradotte ad arte (diciamocelo; la traduzione è arte!) suggerita dal titolo “La Spina” figlia di un fluido misterioso e affabulante con la sua fascinante melodia armonica. Succede, quando un poeta traduce altro poeta. E abbiam, netta la sensazione che Silvia Vilarino sia qui seduta davanti a noi a leggere con la propria voce i suoi versi.
FRANCESCO DI ROCCO