CHIETI – Avrebbero inquinato il suolo nella zona di Salvaiezzi di Chieti Scalo a ridosso del fiume Pescara. Uno sversamento che presumibilmente sarebbe andato avanti dal 2009 e che ha compromesso anche il mare con oltre mille tonnellate di rifiuti liquidi accertati.
Per questo motivo in quattro sono finiti agli arresti domiciliari questa mattina all’alba: il presidente del consorzio di bonifica “Centro” Roberto Roberti, il direttore tecnico dell’impianto Tommaso Valerio, il capo del settore Ecologia e ambiente Andrea De Luca e un amministratore del laboratorio di analisi chimiche, Stefano Storto. I reati per i quali si è proceduto, nell’ambito dell’operazione denominata «Panta Rei», sono traffico illecito di rifiuti, inquinamento ambientale, truffa ai danni dello Stato e abuso d’ufficio.
Stando alle indagini della forestale” lo smaltimento illecito ha provocato un enorme inquinamento del suolo, con sostanze altamente nocive, tra cui il micidiale arsenico”, provenienti dalla Toscana, nella zona appunto di Salvaiezzi di Chieti Scalo. Un impianto che sorge a ridosso del fiume Pescara, a poca distanza dell’area inquinata.
Quaranta gli uomini del Corpo forestale dello Stato dei Comandi provinciali di Chieti e Pescara coinvolti nell’operazione, coordinati dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia – dell’Aquila e svolta dal Corpo forestale abruzzese comandato da Ciro Lungo. Questa mattina i dettagli di un’indagine che è partita nel febbraio del 2015 sono stati spiegati a palazzo di giustizia all’Aquila anche dal sostituto procuratore della direzione antimafia Antonio Laudati. Con lui anche i sostituti procuratori antimafia David Mancini e Antonietta Picardi.
La prosecuzione delle indagini, avviate nel 2015, che ha visto gli agenti del Corpo impegnati in attività d’intercettazione telefoniche ed ambientali integrate da indagini documentali, ha permesso di “cristallizzare una serie di condotte illecite nelle modalità di gestione e funzionamento dell’impianto di depurazione del capoluogo teatino.
Alcune perquisizioni effettuate nel dicembre 2015 presso l’impianto e gli uffici del Consorzio hanno fornito la conferma dei primi indizi e consentito di quantificare con certezza la dimensione di alcuni degli illeciti investigati: è stato ad esempio accertato che ben 1090 tonnellate di rifiuti liquidi provenienti dalla Toscana, contenenti elevate concentrazioni di arsenico, sono stati accettati in impianto in assenza delle necessarie analisi che ne attestassero la composizione, così come sono stati conferiti percolati di discariche con alti valori di ammoniaca (5 volte il limite dello scarico autorizzato) fornendo sistematicamente all’Arta dati palesemente manipolati.
In ulteriori casi si è accertato che gli indagati si siano resi responsabili del mancato o non corretto trattamento di acque reflue, falsificando documenti ed analisi o avvalendosi di un laboratorio compiacente per l’alterazione dei risultati analitici.
Le indagini hanno rivelato anche la gestione illecita di un ingente quantitativo di fanghi di depurazione che venivano illegalmente miscelati falsificandone, anche in questo caso, la relativa documentazione, per lo smaltimento dei quali il Consorzio di Bonifica ha percepito indebite sovvenzioni economiche da parte del Comune di Chieti per 300.000 euro”.
Inoltre, sono state accertate gravi problematiche strutturali e manutentive degli impianti, più volte rilevata anche dall’Arta, conclamata nell’esistenza di falle nelle vasche di trattamento attraverso le quali sono confluiti nel sottosuolo reflui e fanghi inquinati.
Il Consorzio – organismo di diritto pubblico – ha inoltre affidato appalti a privati per servizi di trasporto e smaltimento dei fanghi in assenza delle prescritte procedure di evidenza pubblica, avvalendosi della società Depuracque, gestore autorizzato di un confinante impianto di trattamento di rifiuti pericolosi che scarica nell’impianto del Consorzio. Nel corso del tempo vi è stato un continuo sversamento di reflui non trattati nel fiume Pescara che, unitamente alla gestione irregolare degli ingenti carichi di percolato da discariche, hanno prodotto, secondo quanto emerso nel corso dell’indagine, l’aggravarsi dell’inquinamento della falda sottostante e del fiume stesso”.