FARINDOLA – Da parte della Procura di Pescara sono stati emessi oggi 23 nuovi avvisi di garanzia per la vicenda dell’Hotel Rigopiano, travolto da una valanga lo scorso gennaio in cui persero la vita 29 persone. Tra i reati ipotizzati dalla Procura guidata dal capo Massimiliano Serpi, che ha firmato gli avvisi insieme al sostituto Andrea Papalia ci sono quelli di omicidio e lesioni plurime colpose per tutta la catena dei soccorsi, che va dagli indagati della prefettura al Comune di Farindola. Per gli altri indagati sono ipotizzati anche i reati di falso e abuso edilizio.
“Mastico amaro”. E’ il laconico commento dell’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, raggiunto oggi dall’avviso di garanzia. Provolo è stato trasferito nei giorni scorsi a Roma. ”Ho sempre detto che parlano le carte, i verbali – dice all’Ansa – Noi abbiamo lavorato, poi se uno mi chiede se si potevano fare le cose meglio, beh, se potevamo fare qualcosa di più, insomma, tutto può accadere. Ma l’essenziale è stato fatto, quindi questa cosa un po’ mi ferisce perchè questa, come ho detto spesso, è una cosa che porterò sempre nel cuore”.
Questo l’elenco degli altri indagati: i funzionari della Provincia Paolo D’Incecco, Mauro Di Blasio, Giulio Honorati, Tino Chiappino (in relazione alla viabilità), gli amministratori e tecnici di Farindola Massimiliano Giancaterino, Luciano Sbaraglia, Antonio De Vico, Enrico Colangeli (per quanto di competenza del Comune), i dirigenti regionali Antonio Sorgi, Pierluigi Caputi, Carlo Giovani, Vittorio Di Biase, Emidio Primavera e Sabatino Belmaggio (rispetto agli inadempimenti sulla carta di localizzazione delle valanghe), gli imprenditori Andrea Marrone, Marco Del Rosso, Bruno Di Tommaso e Giuseppe Gatto (per gli inadempimenti alla normativa di sicurezza nel resort), ed i funzionari della Prefettura Leonardo Bianco e Ida De Cesaris, per la tardività della macchina dei soccorsi.
Asfissia, ostruzione vie respiratorie e compressioni del torace, violenti traumi contusivi e da schiacciamento a seguito del crollo della struttura, crash syndrome con compartecipazione di un progressivo quadro asfittico, emorragie subracnoidea traumatica, asfissie da valanga e in presenza di basse temperature: queste sono le cause della morte delle 29 persone che hanno perso la vita nell’hotel Rigopiano a Farindola. Lo si legge nell’informazione di garanzia notificata ai 23 indagati per la tragedia dello scorso 18 gennaio.
L’ex prefetto di Pescara Provolo e gli altri due funzionari Ida De Cesaris e Leonardo Bianco, sono indagati dalla Procura di Pescara perché ”pur nella consapevolezza che quanto meno dal 16 gennaio la provincia di Pescara era in stato d’emergenza”, in quanto la stessa Prefettura aveva inviato nota alla Presidenza del Consiglio e al Miistero degli Interni, ”soltanto all’esito della riunione in Prefettura del comitato dell’ordine pubblico alla ore 10,00 del 18 gennaio, invitava gli operatori della Prefettura a scendere nella sala della protezione civile determinando non prima delle ore 12.00 la reale operatività del Centro Coordinamento Soccorsi in forza della effettiva apertura della sala operativa della Sala Provinciale prima non funzionante”. Nell’ordinanza della Procura quindi si legge che ”ormai troppo tardi, solo alle ore 18.28 del 18 gennaio”, il prefetto si attivava ”nel chiedere l’intervento di personale e attrezzature dell’Esercito Italiano per lo sgombero della neve nei paesi montani della provincia di Pescara” e altre turbine alla Regione Abruzzo. La valanga che ha travolto il resort di Rigopiano è arrivata poco prima delle ore 17,00, ma questo ritardo nell’attivare i soccorsi ha fatto si che fossero determinate ”le condizioni per cui la strada provinciale dell’hotel fosse impercorribile per ingombro neve, di fatto rendendo impossibile a tutti i presenti in detto albergo di allontanarsi, tanto più allarmati dalle scosse di terremoto della giornata”. La Procura ha disposto l’interrogatorio di Provolo per il prossimo 12 dicembre a Pescara.
Tra gli indagati ci sono anche funzionari della Regione perché ”sebbene incombesse su di loro” la responsabilità di realizzare la Carta delle valanghe per l’intero Abruzzo ”non si attivavano in alcun modo nemmeno predisponendo apposite, doverose, richieste di necessari fondi da stanziare nel bilancio regionale”, per realizzare la Carta. Se presente quindi la località di Rigopiano sarebbe stata riconosciuta come ”esposta a tale pericolo di valanghe”. Questa assenza, si legge nell’ordinanza della Procura di iscrizione sul registro degli indagati di 23 persone, ”ha fatto sì che le opere già realizzate dell’hotel in seguito ai permessi di costruzione del Comune di Farindola non siano state segnalate dal sindaco” alla Regione. Se così fosse stato il Comitato tecnico regionale per lo studio della neve e valanghe avrebbe deciso ”l’immediata sospensione di ogni utilizzo in stagione invernale dell’albergo, fino alla realizzazione di interventi di difesa antivalanghiva della struttura, dighe di deviazione, reti, deflettori da vento, ombrelli da neve.”
Nell’ordinanza vengono messe in luce anche le vicende urbanistiche dell’hotel con l’iscrizione anche dei due sindaci che hanno preceduto Ilario Lacchetta, ossia Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico, e che insieme ai dirigenti comunali e al geologo Luciano Sbaraglia hanno permesso la costruzione della struttura, oltre che della proprietà del resort. Gli esponenti del comune sono indagati, nonostante le molte relazioni storiche su valanghe, per non aver mai preso in esame di ”adottare un nuovo Piano Regolatore Generale, che laddove emanato avrebbe di necessità individuato a Rigopiano un sito esposto a forte pericolo di valanghe sia per ragioni morfologiche che storiche”. Se così fosse stato il comune non avrebbe potuto rilasciare i permessi per la ristrutturazione dell’hotel ”permessi che in presenza di un corretto Prg e di parimenti corretto Piano Emergenza comunale non sarebbe stato possibile rilasciare con conseguente impossibilità edificatoria”.