ROMA – “In 60 anni di storia, l’Europa ha mantenuto la promessa della sua identità: la guerra è stata tenuta lontana, tre generazioni non ne hanno conosciuto la barbarie”. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha detto alla Camera dei Deputati, per il discorso di apertura della settimana di festeggiamento dei 60 anni dell’Unione Europea. Che si fondò con i Trattati di Roma, il 25 marzo 1957, con la Cee e sei fondatori: Francia, Belgio, Italia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi.
Ma la Lega Nord di Salvini ha deciso di disertare le celebrazioni (solo l’ex leader Umberto Bossi era seduto in Aula). Il Carroccio è in piazza davanti Montecitorio, per un sit-in di protesta contro l’Europa. E Salvini annuncia che neanche sabato sarà a Roma, all’evento: «Mentre sabato in Campidoglio ci sarà il Festival dell’Ipocrisia, con la Merkel, Renzi, Monti e la Boldrini, io sarò a Lampedusa con gli Italiani per preparare un’Europa e un’Italia diverse». L’altro partito scettico e critico nei confronti dell’Ue, il Movimento 5 Stelle, invece, è presente in Aula.
«Fatti gli europei, ora è necessario fare l’Europa», dichiara, parafrasando Massimo D’Azeglio, Sergio Mattarella. «Quale era la situazione dell’Europa prima dei Trattati? – si chiede -. I rapporti erano più semplici o più difficili?». La riflessione va dritta al cuore della crisi dell’Europa, sospinta da populismi, che vorrebbero un ritorno della piena sovranità agli Stati.
«A spingere i fondatori – dice il Presidente – fu la condizione internazionale di forte instabilità, con una competizione bipolare a tutto campo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Europa si scopriva debole, e il confine di questa debolezza, nella polarità tra Russia e America, era proprio nel nostro Continente. I rischi della III Guerra mondiale si manifestavano, e con una situazione di fragilità era necessario dare prospettiva all’Europa».
I padri dell’Europa «non erano visionari, ma uomini politici consapevoli dei rischi», è la provocazione del Presidente italiano. Hanno avuto «il coraggio di trasformare le ansie dei rispettivi popoli in punti di forza, realizzando una società aperta, dove libertà e democrazia fossero garantite, per la salvaguardia della pace». Il suo appello, «per un’Europa più forte», è chiaro: «I singoli Paesi non avranno mai una voce più forte che tutti insieme. Come i piccoli comuni, nel ’600, non era pensabile che fossero forti come Francia e Spagna». La spinta all’unità non deve, insomma, farsi scalfire dal fatto che, oggi a differenza di allora, c’è benessere e pace, e non le macerie della guerra.