Il popolo dei test ha avviato la sua stagionale transumanza alla ricerca di un posto e di un sogno. Decine di migliaia di ragazzi sono impegnati nella lotteria delle facoltà a numero programmato o dei numeri chiusi di ateneo e cercano di destreggiarsi tra gli oltre 4500 corsi di laurea di primo e secondo livello o a ciclo unico. Trionfano i consigli dell’acqua calda: scegliete ingegneria; no, economia; iscrivetevi a giurisprudenza; meglio le lauree sanitarie.
I pendolari dei test sono la metafora della inadeguatezza dell’orientamento dei giovani in un Paese incapace di programmare il futuro. Ma sostenitori e critici dei test (sono utili; no, astrusi e sadici) dimenticano che dietro le barriere si nascondono in realtà fratture e l’incapacità di rispondere al cambiamento. I giovani devono sapere come è e sarà il mondo del lavoro. Questa la fotografia. Architetti: oltre 150mila; avvocati: oltre 170mila; medici: oltre 400mila; infermieri: oltre 400mila; commercialisti: oltre 115mila, ingegneri: oltre 235mila.
Sono gli avamposti di un esercito di quasi 2,5 milioni di professionisti iscritti a ordini e albi, che rappresentano le professioni liberali, i cui numeri sono in mano a burocrazie che controllano gli ingressi, cercando di difendere soprattutto chi è già dentro. Dall’altra parte del fiume ci sono oltre 250 associazioni che rappresentano un mondo ribollente di nuovi professionisti, che si arrabattano in cerca di riconoscimenti.
Sono tributaristi, amministratori immobiliari, osteopati, periti assicurativi, web designer, informatici, investigatori privati, consulenti, interpreti e traduttori e tanti altri; un esercito di oltre 2milioni di persone, molti dei quali sono lavoratori della conoscenza. Alcuni vedono con favore l’aumento degli ingressi dei professionisti, tradizionali e nuovi (E’ la concorrenza!, bellezza); altri si preoccupano, ma non riescono più a gestire flussi, deontologia e aggiornamento professionale. E’ finito il tempo in cui si diceva: laureatevi, e troverete automaticamente un lavoro. I problemi sono più complicati. Al di là dei numeri e del loro controllo, se guardiamo dentro il mondo delle professioni troviamo altre fratture e molte sorprese.
Abbiamo un terzo degli architetti di tutti i Paesi europei, quattro volte gli architetti inglesi. Abbiamo oltre 333 avvocati ogni 100mila abitanti, la Francia ne ha 75. In Italia per ogni magistrato ci sono 27 avvocati, in Francia 7, nel Regno Unito 3. Si può capire perché ci sono 6 milioni di processi civili pendenti. Ma non è tutto. A rincarare la dose interviene il fenomeno del calo dei redditi. Gli avvocati dichiarano un reddito medio sotto i 50mila euro. Ma ci sono anche i proletari dell’avvocatura: 56 mila legali, giovani under 40, che non arrivano a guadagnare 10.300 euro l’anno. Per non parlare di praticanti e tirocinanti, che lavorano 12-14 ore al giorno per 200-300 euro al mese, quando non del tutto gratuitamente. Tutto questo non significa che abbiamo troppi laureati: siamo al 20% negli under 35 contro una media europea del 40%.
Quattro sfide
Significa che dobbiamo guardare al futuro con un miglior orientamento. Quattro le sfide di chi sceglie una professione: la prima è prepararsi a un lavoro autonomo e intraprendente e non vestirsi da travet dipendenti; la seconda si chiama globalizzazione: non dobbiamo solo temere avvocati e ingegneri che arrivano dall’estero, ma dobbiamo ragionare e agire a livello internazionale, minimo in Europa; la terza sfida è la specializzazione: niente passacarte e specialisti di timbri e bolli (vale anche per i notai) ma professionisti del cambiamento; la quarta sfida è quella di associarsi: non più azzeccagarbugli individualisti e lupi solitari, ma studi associati di professionisti che integrando le diverse specializzazioni vanno alla ricerca del mercato nel mondo.